Appendice 8ª - Un’obiezione spesso sollevata nei confronti dell’antroposofia

Viene spesso fatta un’obiezione nei confronti dell’antroposofia che, in base alla disposizione d’animo delle personalità da cui giunge, e tanto comprensibile quanto ingiusta nei confronti dello spirito da cui muove la ricerca antroposofica. Perciò mi sembra del tutto trascurabile, perché la confutazione è ovvia per chiunque segua con reale comprensione le esposizioni date dal punto di vista antroposofico. Solo perché essa si ripresenta sempre di nuovo, dico qui qualcosa in merito, come già feci anche nelle “Aggiunte” del 1914 alla sesta edizione della mia “Teosofia”.

In base a questa obiezione si richiede che i risultati dell’osservazione spirituale presentati dall’antroposofia siano “dimostrati” nel senso del puro metodo sperimentale scientifico. Ci si immagina per esempio che alcune persone, che sostengono di poter arrivare a tali risultati, siano poste di fronte a un certo numero di altre persone, in un esperimento disposto in piena regola, e che i “ricercatori spirituali” debbano poi dichiarare ciò che hanno “visto” nelle persone da esaminare. Le loro dichiarazioni dovrebbero concordare, o almeno essere simili in una percentuale sufficientemente grande. È comprensibile che chi solo sappia dell’antroposofia, senza averla capita, avanzi sempre di nuovo una simile pretesa, dato che, soddisfacendola, gli verrebbe risparmiato il lavoro di elaborarsi il giusto modo di dimostrazione che consiste nell’acquisizione del proprio vedere, raggiungibile da ciascuno. Chi però abbia veramente capito l’antroposofia sa anche che, per il raggiungimento di veritieri risultati di visione spirituale, un esperimento condotto nel modo accennato sarebbe più o meno pertinente quanto quello di fermare le lancette di un orologio per osservarne il tempo. Infatti all’acquisizione dei presupposti, grazie ai quali lo spirituale può essere visto, si giunge attraverso vie che devono risultare dalle condizioni della vita animica stessa, e condizioni simili non si danno in quelle predisposte esteriormente per un esperimento scientifico-naturale. All’interno di tali condizioni dev’essere messo per esempio il fatto che l’impulso di volontà, che porta al vedere, proviene solo e completamente dall’impulso interiore originale di chi deve vedere. Ciò che plasmando penetra in tale impulso interiore non è dato in condizioni esterne predisposte artificialmente.

Ci si deve davvero meravigliare che si tenga così poco conto di come ciascuno possa procurarsi le dimostrazioni per l’antroposofia direttamente attraverso un adeguato atteggiamento della propria anima; di come quindi queste “dimostrazioni” siano accessibili a ciascuno. Non si vuole ammettere che il motivo del pretendere “dimostrazioni esteriori” dipende solo dal fatto che queste ultime si raggiungerebbero su vie più comode di quelle scientifico-spirituali faticose, scomode, ma veritiere.

Ciò che voleva Brentano col suo aspirare sempre di nuovo a poter lavorare in un laboratorio psicologico, è posto su un terreno del tutto diverso da queste pretese di comode dimostrazioni sperimentali di verità antroposofiche. L’anelito ad avere a disposizione un simile laboratorio viene spesso alla luce nei suoi scritti. Le circostanze che gliel’hanno negato sono intervenute tragicamente nella sua vita. Proprio grazie al suo atteggiamento rispetto ai problemi psicologici, con un simile laboratorio sarebbe riuscito a fare qualcosa di enorme importanza. Se dunque si vuole creare il fondamento migliore per risultati antropologico-psicologici che vadano fino al “confine della conoscenza” in cui antropologia e antroposofia si possono incontrare, questo può avvenire grazie a un laboratorio psicologico, così come Brentano l’ha pensato. Per portare i fatti della “coscienza veggente” in un laboratorio simile non ci sarebbe bisogno di pretendere alcun metodo sperimentale; attraverso quei metodi sperimentali che si inseguono si manifesterebbe invece come l’essere umano sia predisposto a quel vedere, e come la coscienza veggente sia richiesta dalla coscienza abituale. Chiunque sia nella prospettiva antroposofica aspira, proprio come Brentano, a poter lavorare in un autentico laboratorio psicologico, cosa che è oggi impossibile, a causa dei pregiudizi ancora dominanti contro l’antroposofia.

Appendice 9ª - Nota conclusiva

Non entro qui nel merito degli attacchi di ogni specie che sono stati fatti negli ultimi tempi non contro l’antroposofia, ma contro la mia persona. In parte perché non è qui ammissibile, dato che questi “attacchi” sono privi di un vero carattere scientifico; in parte perché sono puramente personali, non si basano su motivi razionali, ma su astiosità, e nella stragrande maggioranza dei casi chi attacca sa molto bene di sostenere oggettive falsità.