BASI TEOLOGICHE DELLO STATALISMO

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Seguire Gesù, oggi non ha più senso. Oggi bisognerebbe piuttosto seguire il Cristo, presente in ognuno come involucro del proprio io.

Anticamente si parlava di “Gesù, detto il Cristo”, ed il Cristo era il nome tecnico per indicare il figlio dell’uomo (altro nome tecnico), cioè l’io… Allora l’uomo non indicava se stesso con la parola “io”, bensì in terza persona (il mio cuore dice al tuo cuore) come fanno i bambini: “Mario vuole giocare”, e non: “io voglio giocare”. Si diceva: “l’anima mia esulta” e non “io esulto”, “l’anima mia magnifica il Signore…”, e non “io magnifico il Signore”. Insomma il nome di Dio era “Eié escèr eié”, che significava e significa “Io sono l’IO SONO”, ed è questa forza di autopresentazione di sé che si manifesta col Cristo, detto anche IO SONO.

Perciò seguire Gesù, come vorrebbe la chiesa, significa tradire l’immanenza del Cristo in ogni uomo. Tale tradimento fa comodo ad ogni istituzione in cui il principio del collettivo è considerato preminente rispetto al principio dell’individuo, o la società più importante del socio.

“L’amore della verità ha bisogno del TEMPO della riflessione” era solito dire Agostino. Diceva, sì, il vero ma negava poi realtà al concetto di TEMPO. A partire da questa contraddizione di Agostino, l’Occidente incomincia ad essere spinto nel processo dell’astrazione e quindi dello STATALISMO.

Questo processo continuerà poi a protrarsi fino ad incorporarsi completamente in tutto l’Occidente.

“Solo grandi spiriti si ribellano a questo processo di astrazione” era solito dire circa un secolo fa Rudolf Steiner, citando Goethe come uno dei massimi fra questi grandi spiriti, e Kant come quello che più di tutti cadde preda dell’astrazione statalista. Infatti, continua Steiner, se si prende la “Critica della ragion pura” di Kant e se ne leggono gli assiomi, si può benissimo invertire ognuno di essi nel suo contrario, e si ottiene la verità: “Bisogna veramente pensare così dei più importanti princìpi kantiani, riguardanti tempo e spazio. Si possono con tranquillità voltare quei princìpi nel loro contrario; si può dire no dove è detto sì, e sì dove è detto no, e si ottiene qualcosa di valido per il mondo spirituale. Da ciò si può dedurre quale grande interesse mondiale ci sia nel falsificare Goethe che sta agli antipodi di Kant” (Rudolf Steiner, “Contributi alla conoscenza del Mistero del Golgota”, conf. di Berlino del 19 aprile 1917).

Chi si basa sui contenuti della filosofia di Agostino o di Kant senza verificarne gli assunti è poi costretto a procedere dogmaticamente, ponendo contenuti di pensiero (validi in un determinato periodo storico, cioè in periodi temporali alieni da quello presente) come verità di fede, le quali se non sono credute generano “eresia”. Ma le verità di fede di queste teste coatte, che si fanno poi “frati” e fratricidi bruciando gli eretici, sono verità o falsità? Sono cose giuste o errori? Sono errori. Errori che per accidia ci si “dimentica” di correggere.

E così, a furia di “dimenticanze” si diventa keynesiani assoluti dicendo “meno Stato” (che è il contrario di quanto diceva Keynes). I politici di destra di sinistra e di centro ne sono un esempio classico. Perciò i non votanti sono sempre più numerosi dei votanti.

Ci vogliono regole autoritarie, dice Agostino: “Non accetterei la dottrina di Cristo se non fosse fondata sull’autorità della Chiesa”! Ma che razza di modo coatto di pensare è?

Si veda la vita della politica. Nella sua forma odierna, la politica - ideologica, partitocratica, o democratica che sia - non è altro che il medesimo totalitarismo o fascismo o imperialismo dei tempi antichi. Le cose cambiano per essere gattopardianamente le stesse: si può essere comunisti o libertari, ma se l’uomo non passa a essere individuo anziché mero gregario o mero esemplare della specie-animale-uomo, la sostanza rimane. Ed è sostanza d’imbecillità.

Lo stesso può dirsi dell’abominevole e menzognera chiesa cattolico-romana (già nel suo essere cattolica, che significa universale, e contemporaneamente romana, vi è una menzogna colossale che nessuno vede, o quanto meno un’impossibilità di universalità del pensare).

La chiesa, dai tempi di Agostino fino al secolo quindicesimo, attraverso i mistici si definì, sì, cristiana, ma la sua forma non fu altro che quella del vecchio impero romano: vita irrigidita nella forma. Tutto ciò che prima era repubblica e poi impero, lo Stato romano lo trasmise - mediante le proprie manifestazioni di piazza e irrigidito nelle sue forme - al cristianesimo successivo. Trasmise al cristianesimo perfino la capitale, Roma, già capitale dell’impero! E persino gli amministratori delle province si perpetuarono nei presbiteri e nei vescovi. Ciò che era vita precedente, diventa forma successiva per il suo gradino successivo di vita. E ciò continua fino ad oggi con lo IOR, la banca vaticana del papa, nuovo… imperatore e nuovo… faraone, perfino nei faraonici e carnevaleschi paramenti!

E tutto ciò vale purtroppo soprattutto per l’uomo odierno. Oggi vi è infatti un colossale tabù su ciò che scaturisce dall’”io sono”, il cui nome tecnico era per gli evangelisti “figlio dell’uomo” (vedi Urs von Balthasar, “Sponsa verbi”, Ed. Jacabook, p. 480).

C’è una paura folle dell’io umano. Si tratta di una psicosi proveniente da ogni parte religiosa e politica! E i pochi che come Urs von Balthasar, Hans Küng, Mario Bacchiega, ecc., osarono affermare quasi balbettando il significato di tale nome tecnico (dell’io; cfr. ibid.) sono immediatamente espulsi dalla chiesa! Eppure tutta la vita interiore di ogni essere umano è il risultato di questa fecondazione dell’umanità tramite l’“io sono”!

Domanda: come stavano le cose nelle precedenti forme della vita individuale umana? L’uomo antico si esprimeva nominando se stesso in terza persona, esattamente come fanno gli infanti: “L’anima mia magnifica il Signore”, “Il mio spirito esulta”; “Mario ha fame”, per dire “io esulto”, “io (Mario) ho fame”. Il figlio dell’uomo - vale a dire “colui che si presenta come io ai suoi simili” - non nacque e non nasce da carne e sangue, bensì da un elemento IMMATERIALE dell’umanità, la cui natura è tale che muove in sé la possibilità della scoperta dell’io. Ed oggi lo si vorrebbe ricacciare nella forma precedente la sua nascita… Però l’operazione non riesce… Perché? Perché il bambino, a un certo punto della sua infanzia dirà sempre “io” a se stesso!

“Non bisogna avere paura dell’io, o bestie!” scrivevo… La nascita verginale del “figlio dell’uomo” da parte della natura umana, il senso della nascita del Cristo in quanto involucro (sindéresi) dell’“io sono” nell’uomo, non è altro che questo. Vi è infatti un percepibile rapporto di equivalenza fra la storia dell’individuo e quella dell’umanità: tanto nell’infanzia dell’umanità quanto in quella del bambino, si passa dalla consapevolezza di sé in terza persona a quella in prima persona. Troviamo testimonianza di ciò nei testi più antichi: come cinquemila anni fa il faraone Azoze, V dinastia, circa 2900 a.C., diceva “La mia maestà ha visto” (G. Farina, “Grammatica della lingua egiziana antica”, Ed. Hoepli, pag. 183 e 184), anziché dire “io ho visto”, così duemila anni fa, la “madre” dice ancora “l’anima mia magnifica il Signore”, anziché dire “io magnifico il Signore” (Luca, 1,46).

Nella misura in cui si riesca a ripercorrere all’indietro le antiche forme di autocoscienza dell’umanità, ricercandole dal tempi dell’avvento del “figlio dell’uomo” fino ai primordi, oltrepassando i tempi dell’essenziale esigenza mosaica di un dio che dica di se stesso “io sono l’io sono” (Esodo 3,13-16), fino ai tempi prediluviani, si può percepire come l’umanità tenda ad indicare se stessa sempre in terza persona singolare, come gli infanti quando, prima di scoprire la parola “io”, indicano se stessi in terza persona singolare servendosi del loro nome. Ovviamente, qui non si tratta di una percezione materiale simile a quella che si ha di un tavolo, perché in questo settore - a parte i pochi documenti antichi rimasti - il percepibile materiale a disposizione è poco. Si tratta perciò di percezione sovrasensibile, vale a dire di intuizione. E questa è la stessa intuizione che permise a Steiner la seguente affermazione: “La terra degli Atlanti era quella che la mitologia germanica designa con i nomi di “Niflheim”, “Nebelheim”, “Wolkenhein”, terra delle nebbie. […] Il continente atlantico fu sommerso a seguito di una serie di diluvi nel corso dei quali l’atmosfera terrestre si rischiarò. Solo in seguito si videro il cielo azzurro, i temporali, la pioggia e l’arcobaleno. Ecco perché, dice la Bibbia, dopo che l’arca di Noè ebbe toccato terra, l’arcobaleno fu il nuovo segno del patto fra Dio e gli uomini. […] Solo allora l’uomo iniziò a chiamarsi “io”. Gli Atlanti parlavano di se stessi in terza persona” (Rudolf Steiner, “Kosmogonie”, Opera Omnia n. 94, R. Steiner Verlag, Parigi, 26 maggio 1906; cfr. anche R. Steiner, “I manichei”, Ed. Antroposofica, Milano 1995). E la vita dell’io in terza persona si è perfino fatta sentire nel “plurale maiestatis” degli ultimi papi, perché sempre la vita di un periodo precedente diviene la forma di quello successivo. È una legge evolutiva questa.

La nuova forma sociale, la nuova moneta, la sovranità dell’individuo, la triarticolazione dell’ordine sociale, in definitiva la neosocietà sarà una comunità nella quale troverà posto anzitutto la reale scintilla cristiana, cioè l’io consapevole di essere assolutamente immateriale.

Oggi dovremmo dire: Padre nostro liberaci dal male… della stagnazione che è in noi… nel nostro mero emisfero sinistro dell’ideologia che genera gregari, cioè schiavi di idee credute Dio! Vera stagnazione è infatti quella del cervello malato di coloro che pretendono l’attuazione della neosocietà e della neofiscalità, retrocedendo, attraverso le forme di ieri, attraverso la democrazia che in verità è usurocrazia: forme antiche che generano altre forme antiche, spingendo le persone a formare da un lato fazioni in lotta fra loro, e contemporaneamente a risparmiare, portando i loro soldi in banca… È la follia! Queste persone, altro non sono altro che un’ignara espressione (una delle tante) della “belva feroce” di cui parlava Nietzsche (F. Nietzsche, “Genealogia della morale”, Adelphi, Milano 1995, pag.30-32) preparando il futuro.

Invece agli antipodi del futuro, Agostino, uno degli spiriti più eminenti per la chiesa cattolica (che nel suo “De Civitate Dei” diede appunto forma alla chiesa, forma che è ancora quella di oggi) fu necessariamente il più attivo avversario della forma che preparava il futuro. Circa 17 secoli fa, Faustus ed Agostino, erano uno di fronte all’altro come il fenomeno goethiano di due polarità di colori: Agostino che, partendo dall’antica autorità dell’impero romano, costruiva sulla chiesa nella sua forma attuale, e Faustus che, movendo dall’uomo, intendeva preparare il senso per la forma dell’avvenire. Questo contrasto, che si sviluppò nel terzo e nel quarto secolo dopo Cristo rimase, e si manifestò poi nella lotta della chiesa cattolico-romana contro i Templari, i Rosacroce, gli Albigesi, i Catari e gli altri. Ecco perché Jacques de Molay, l’ultimo dei templari, bruciando sul rogo, disse agli astanti: “Le eresie e i peccati che ci vengono attribuiti non sono veri […]. Sono degno della morte e mi offro di sopportarla, perché prima ho confessato per paura delle torture, e per le moine del papa e del re di Francia”. Tutti vennero distrutti sul piano fisico, ma la loro vita interiore continua ad agire. E ciò in fondo non è altro che lo swing della vita che agisce, con la sua diastole e sistole. La lotta di Agostino contro Faustus non fu altro che un primo aspetto di tale contrasto.

Se tramite computerizzazione della mia attività cardiaca costringo meccanicamente il mio cuore ad andare a tempo secondo una media parametrica scientificamente esatta fra un battito e l’altro, non opero per la mia vita ma per la mia morte. E ciò è come portare i soldi in banca, credendo di risparmiare… È come predicare bene e razzolare male. Predico bene, semino la buona novella, le nuove teorie monetarie, economiche, sociali, ecc., ma se continuo a seminare anche i miei soldi in banca, succede come nella semina di Pinocchio. Qui Collodi è bravo nello spiegare le attuali truffe: Pinocchio semina le sue quattro monete nel campo dei fiori su indicazione del gatto (lo Stato) e della volpe (la banca, lo IOR, sua santità, ecc.), e se ne torna gongolando al luogo della buca chiedendosi quante migliaia di monete troverà sull’albero cresciuto dove aveva seminato i soldi “investiti” con grande fiducia nei lestofanti usurai di allora: “‘Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d’oro. Pigliatelo e mettetelo in prigione’. Il burattino rimase di princisbecco e voleva protestare, ma i gendarmi gli tapparono la bocca e lo condussero in gattabuia”(Carlo Collodi, “Pinocchio”, Ed. Salani, 1995, in Carlo Alberto Brioschi, “Breve storia della corruzione dall’età antica ai giorni nostri”, Ed. Tea, Milano, 2004). La colpa di Pinocchio è il torto imperdonabile di farsi derubare, esattamente come i “burattini” d’oggi, che si fidano delle banche di Stato. I burattini d’oggi sono coloro che costituiscono il “popolo bue”, gli uomini senza meraviglia, quelli che Pound chiama “uomini di marmo”: “gli uomini di marmo trapasseranno nel nulla” (“Canti pisani”, op. cit.). I loro soldi continuano a diminuire; ognuno dice la sua, tutti predicano riforme del sistema monetario, però tutto resta come prima: il “seminato” non da’ frutti, o da’ frutti appassiti.

In tutta la storia della politica, in quella delle confessioni religiose, e di tutte quelle consorterie del malaffare, che non vogliamo verificare alla radice i propri presupposti, e correggerli, inserendo il nuovo, vi è sempre un “bene fuori tempo” che aspetta di andare a tempo. Purtroppo chi paga questi errori è sempre il popolo… “Tutto cambia affinché niente cambi” ma anche affinché il “bene fuori tempo” possa godersi in tempo…

Quanto segue è una mia lettera del 2002 che spedii ad un amico prete, infervorato di Agostino. (Nel 1980 volevo fare il prete in quanto speravo ancora in una chiesa sana. Poi mi accorsi che la mia speranza era infondata, esattamente come la speranza odierna di chi crede di risolvere il problema del signoraggio nella misura in cui lo Stato stampi la propria moneta, e per molti anni poi fui in contatto con amici, preti e teologi, coi quali avevo fatto amicizia).

***

Castell’Arquato, 25/10/02

Caro ***,

Agostino, speculativo e platonico, poteva dire che Dio è in tutte le cose, che è l’essere più intimo dell’anima, ma il suo concetto di trascendenza non poteva avere una consistenza logico-razionale. Se ai suoi tempi la tradizione mistica insiste sull’uomo-immagine-di-Dio, il cui essere è nulla in sé, dato che l’unico essere è Dio, ciò non toglie che l’esemplare che si riflette nell’immagine la costituisca. Tommaso infatti, servendosi di Aristotele, stabilisce anzitutto la logica della trascendenza e della distinzione dell’essere di Dio da quello della creatura (analogia entis, analogia fidei, ecc.) sostenendo che non c’è identità di essere tra Dio e la creatura, ma neppure alterità totale, poiché è Dio che da’ l’essere (nesciamà) alla creatura. Credo che se non si vuole ragionare semplicisticamente come Bart, Rahaner e compagnia bella, occorre superare questo aspetto dell’agostinismo.

Mi sento di dirti queste cose, perché riflettendo su ciò che sta accadendo in Cecenia e nel “teatro russo” (terrorismo) credo che Roma abbia un’unica via oggi per continuare la sua pastorale nel mondo: Soloviev (1853 -1900) (anche se purtroppo oramai è probabilmente troppo tardi, visti gli ultimi avvenimenti).

L’idea cristiana di Stato, che questo teologo russo offriva ed offre come alto ideale, come sogno dell’avvenire, era ed è un concetto cristiano di Stato e di popolo che afferra l’uomo intero per offrirlo all’io superiore (io superiore, o sé spirituale, o il “non io ma il Cristo in me” di Paolo di Tarso) affinché le potenze dell’avvenire lo pervadano di forza cristica. Ma non vi è contrasto maggiore tra l’idea di questa comunità cristiana, in cui il concetto del Cristo è tutto dell’avvenire, e l’idea dello Stato divino di Sant’Agostino (sviluppato in “De civitate Dei”). Agostino accetta, sì, il concetto di Cristo e di Stato, ma lo Stato in questione è quello romano, che accoglie il Cristo nell’idea di Stato trasmessa dallo Stato romano.

Per me è importante invece soprattutto un sapere adatto al cristianesimo che si evolva verso l’avvenire.

Nello Stato di Soloviev, il sangue che pervade tutta la vita sociale è il Cristo stesso. E ciò che più conta, è proprio lì che lo Stato è pensato dotato di tutta la concretezza dell’individualità, e non della burocrazia, pur agendo come essere spirituale, adempiendo cioè la sua missione con tutte le caratteristiche della personalità capace di evolversi in individualità (individualismo etico). Agli inizi del 1900, questa filosofia era ancora in germe, ma l’operazione romana (vaticana) contro il modernismo (cioè contro ogni anelito spirituale altrettanto capace di essere pervaso dal concetto del Cristo come lo fu per esempio la scienza dello spirito di Steiner) non fece che comprimere ed oscurare le coscienze nel loro anelito cristico di ricerca. Ciò ha provocato, a mio parere, i sintomi di decadenza attuali che si esprimono, per es., nell’attuale slogan terroristico: “O vittoria, o Paradiso”, segno di un impulso cristico senza Cristo.

Tutto quello che troviamo in Oriente, dal sentimento popolare fino alla filosofia, non è che il germe di un futuro sviluppo. In altre parole, secondo me avrebbe dovuto essere lo spirito dell’antico popolo greco, e che divenne guida del cristianesimo, a dirigere l’Europa, non lo spirito giuridico romano [qui, fra l’altro sta ancora il problema della Grecia di oggi, ridotta ad essere ancora colonia romana o tedesca o americana].

L’umanità del futuro non può più accettare il civis romanus, nella misura in cui il diritto romano è fondato sulla violenza, vale a dire sul fratricidio (Romolo e Remo) e sulla rapina (ratto delle Sabine).

Il carattere del popolo russo, orientale, non solo fu educato, ma fu nutrito e allevato nella spina dorsale della grecità, che più tardi, con l’imperialismo romano, con il civis e con il cattolicesimo romano (contraddizione in termini) degenerò, assumendo un rango differente proiettato verso l’esterno.

A me risulta che il vero terrorismo ha lì, in tale degenerazione, le sue radici. La tavola rotonda dei cavalieri del Graal si è trasformata in pratica in potere piramidale. È in fondo la faraonica piramide che Roma, a differenza di Mosé, non volle mai lasciare. E questo è il motivo del mio dissenso con la chiesa [Fine della lettera].

Chi oggi crede in Dio creatore del mondo dal nulla, deve fare i conti con la grammatica ebraica, dato che Eloìm di “Berescit barà Eloìm” (inizio della Bibbia generalmente tradotto con “All’inizio Dio creò”) non è grammaticalmente credibile: “barà” è la terza persona SINGOLARE del passato remoto di “creare”, mentre “Eloìm” significa non “Dio” ma “Dei”: la desinenza “im” di “El” (o di “Al”, che da’ l’etimologia dell’italiano “Alto”, “Altissimo”, o di Allah, ecc.) è infatti quella di un plurale. La traduzione letterale dovrebbe quindi essere “All’inizio gli Dei creò…”.

Quindi ci si può rendere conto che nella Bibbia abbiamo già nelle prime tre parole un errore grammaticale tramandato per millenni.

Inoltre il significato di “barà” non sembra essere “creare”. Dico “non sembra” perché il significato originario è ancora discusso tra gli accademici. Sembra invece che il vero significato sia ben altro.

Nei trattati dell’Ancient Hebrew Research Center, dovì’è disponibile un articolo di Jeff Barner proprio sul termine “barà” si trovano queste parole: «In Genesis 1:1 it does not say that God “created” the heavens and the earth, instead he “fattened” them or “filled” them. Notice that the remaining chapter is about this “filling” of the heavens with sun, moon, birds and and the “filling” of the earth with animals, plants and man», che traduco così: «In Genesi 1,1 non è detto che Dio “creò” i cieli e la terra, invece Lui li “ingrassò” o li “riempì”. Si noti che la rimanente parte di capitolo è relativa a questo “riempimento” dei cieli con il Sole, la Luna, gli uccelli, e il “riempimento” della terra con animali, piante e uomo».

In sostanza il ‘“barà” di Genesi 1,1 non dovrebbe significare “creare” ma “riempire”. In effetti, come fa osservare l’articolo, i versi seguenti raccontano di come Dio RIEMPIE il cielo e la terra (e le acque) di forme di vita.

Come si arriva a questo “riempire”? Secondo l’AHRC (Arts and Humanities Research Council) il termine “barà” significa letteralmente “irrobustire”, “ingrassare”, “rendere più sostanzioso”.

Ne deduco dunque che anche in senso linguistico la creazione dal nulla è una bufala. Perché il termine “barà” sembra indicare qualcosa di diverso dal “creare”.

Questi dati dell’Ancient Hebrew Research Center e dell’AHRC mi sono stati gentilmente inviati da un lettore, anzi da uno studioso devo dire, che si firma Jo, al quale ho così risposto: «Bravo. Grazie dell’interessante contributo, che rende giustizia anche alla visione antroposofica ed aristotelica della manifestazione del mondo. Infatti di manifestazione si tratta, dato che le stessa “prakriti” (“materia” in sanscrito) e “purusha” (“spirito” in sanscrito) hanno ENTRAMBE carattere di eternità. Il cosmo - proprio il cosmo fisico - è ORDINE naturale che esiste da sempre e che non è stato creato da alcun essere collocato metafisicamente fuori da quell’ordine. Da ciò non può che emergere che la cosiddetta creazione si è condensata (o “ingrassata” o “riempita”) da sé, e da invisibile si è resa visibile (onde il senso dell’apparire fenomenico o dell’“epifania” cosmica)» (cfr. la nota di Jo in http://bastamonopolio.over-blog.com/2014/10/biglino-e-la-traduzione-letterale-di-bara-genesi-1-1.html).

Dunque credere alla creazione dal nulla è come credere al mago Zurlì o all’UE, o alle banche centrali, che stampano dal nulla la moneta…

La creazione del mondo è ancora in atto, anche se tutto è compiuto con l’io umano, il quale però può sempre evolversi e mai in modo esaustivo.

Insomma per me non esiste un prima e un dopo la creazione. Quello che c’è, c’è da sempre, e sempre ci sarà. Evolvendosi. Se devo chiamare questo evolversi con la parola “Dio”, allora posso anche dire di credere in Dio ma non nel senso comune che si da’ ad essa.