SUL SENSO DELLA PSICOTERAPIA

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La psicoterapia non ha senso se ridotta a mera analisi dialettica (lo stesso dicasi per ogni teologia, ideologia, sociologia, dottrina confessionale, dottrina politica, ecc.).

Solo superando il limite dialettico, l’io può attuare la propria consapevole indipendenza dalle forze del pensare, del sentire e dell’agire: perché l’io è il soggetto di queste e non viceversa. Quando l’io è invece posto come oggetto fra oggetti da analizzare, o parola fra parole di un dialogo il cui Logos è mero nome di qualcosa fra altri nomi di cose, tutto è astratto. Tutto è morta astrattizzazione. Allora non ci si muove più fra enti o eventi reali. Ci si ferma alle definizioni di questi, credendo di muoversi attraverso di loro per risolverne le probabili problematiche.

In realtà non si risolve nulla col cervello se non si supera il suo limite. Il limite dialettico è il limite della funzione cerebrale, il cui compito è riflettere specularmente la realtà. La realtà dialettica comporta non solo la comunicazione verbale ma anche quella non verbale, che però il cervello non può riflettere. Solo l’io può farlo: intuitivamente. Non il nervo. Non l’apparato sensoriale. Mediante l’apparato sensoriale si può sentire per esempio se fa freddo o caldo. Non si può sentire se le tonalità cromatiche di quel dipinto sono calde o fredde. Qui solo l’io può intervenire con la propria percezione sovrasensibile, o immateriale, dato che l’io stesso è l’essenza del sovrasensibile e del non materiale.

Dunque solo grazie al superamento del limite cerebrale l’io può avere una consapevole relazione con la triade di forze costituita dal pensare, dal sentire, e dall’agire, che caratterizzano la natura umana. Tale superamento è in fondo un DECONDIZIONAMENTO perché l’io non è per nulla obbligato a percepire col cervello le cose. Se lo fosse non avrebbero senso le arti. Per esempio non percepiremmo musica ma meri hertz.

L’uomo antico pensava, sentiva ed agiva - si dice - col cuore. Ed è vero. Per esempio le antiche Upanishad riconoscevano nel “centro” del cuore la sede dell’io superiore dell’uomo. Questi antichi testi parlano però anche di una perdita di questo centro ad opera dell’uomo razionale. Perché la via era quella diretta al cielo. Lo stesso evento del Golgota parla del passaggio dal cuore al cervello. “Golgota” significa infatti “cranio”, che è la custodia del cervello.

L’uomo razionale odierno, pur riconoscendo culturalmente questa perdita, può comunque ritrovare COSCIENTEMENTE il centro del cuore, grazie all’atto libero del pensare. Ovviamente lo ritrova non come possibilità dell’uomo antico, bensì come possibilità dell’uomo moderno.

Se un tempo l’esperienza della sede cardiaca esigeva l’eliminazione del pensare per incentrarsi nel cuore, cioè nel sentimento della fede, oggi la razionalità esige il superamento del limite cerebrale. Questo superamento non significa convertire la direzione dal cuore al cervello verso la via dal cervello al cuore (che sarebbe una conversione verso il basso). Significa non porre limiti al conoscere, vale a dire non impedire di trovare nella propria sede il contenuto del proprio essere. L’orientamento nuovo, cioè il superamento, non deve condurre al centro antico del cuore, ma al cuore che sta oltre il cranio, verso l’alto, nell’elemento solare, cuore luminoso del nostro sistema solare.

Il senso ultimo della logica dovrebbe essere appunto quello di riportare all’uomo l’originario perduto principio, oggi nuovamente presente, grazie ad una razionalità capace di dominare e di estinguere se stessa. Il principio va solo ritrovato oltre la soglia dialettica del pensiero. Ma appunto occorreva che questa soglia ci fosse, per poterla ora scorgere e superarla.

Compito dello psicoterapeuta odierno dovrebbe dunque essere quello di garantire all’uomo, cioè alla sua individuale esperienza, la realtà di una coscienza superiore che ognuno può rinvenire in se stesso. Infatti così come non può esistere una coscienza che non presupponga una sopra-coscienza (a meno che si tratti di una coscienza deficiente), allo stesso modo non può esservi una psicoterapia che non abbia come fine ultimo l’esperienza dell’io, vale a dire del fondamento stesso della coscienza, cioè di un RESPONSABILE aiutatore e risolutore IMMANENTE all’uomo, in cui tutta la trascendenza sia presente e pronta ad attuarsi appunto come io.

Il riconoscimento dell’io è l’unico modo per ritrovare il fondamento, perché l’unico fondamento è l’io. La psicoterapia dei nuovi tempi non può prescindere da questo riconoscimento se vuole guarire l’uomo dall’insufficiente consapevolezza rispetto a una realtà del mondo che ha nell’io stesso il fondamento. Una realtà priva di tale correlazione cosciente può solo presentarsi all’uomo come caos, sfuggente a qualsiasi logica. L’uomo chiede di guarire del traviamento che lo porta a considerare fondamenti dell’esistenza oggetti, o enti, o miti, che sempre poi finisce per scoprire come inconsistenti, e ciò gli procura di continuo dolore e malattia.

Il non essere libero dell’uomo consiste nell’appoggiarsi a sostegni effimeri. Egli li considera fondamenti e dona loro forze ideali ed attività interiore (attivismo confessionale religioso e/o partitocratico, politico, movimentistico). In tal modo prepara le sue delusioni.

L’errore dell’uomo non libero è il fraintendimento in base al quale attribuisce a fondamenti che non sono fondamenti (in quanto estranei all’io), valori che comunque scaturiscono da lui. In altre parole, evitando di conoscere in sé il fondamento, che è la misura vera del valore, ogni volta che fonda la sua sicurezza su situazioni o cose o esseri, il cui valore sorge da una relazione che egli non conosce, l’uomo traduce sostanzialmente in ideale di vita e in sapere il proprio condizionamento!

La psicoterapia ridotta ad analisi dialettica è dunque insensata perché non riesce a relazionarsi con gli oggetti che analizza. Si prenda per esempio l’oggetto “inconscio”. Come è possibile conoscere o a far conoscere - dovrebbero chiedersi gli psicoterapeuti – qualcosa che come l’INCONSCIO della “Psicoterapia” è per definizione inconoscibile? Occorre dunque uscire dalle parole, dalle loro definizioni e da ogni dialettismo, se si vuole essere nella vita del pensare, che non è la dialettica ma essenzialmente quanto è prima e dopo di essa come “io” o soggetto della vita del pensare.

Si prenda, come altro esempio, l’oggetto “fraternità”. La relazione con questo oggetto, per quanto possa essere terapeuticamente analizzato, non è possibile alla psiche, bensì solo all’io. L’oggetto “fraternità” analizzato è perciò sostanzialmente privo del contenuto di coscienza a cui si riferisce, avendo di altruistico soltanto un’embrionale intenzione impossibile da svilupparsi: come fa l’uomo psicanalizzato ad andare da sé al fratello della fraternità se non conosce se stesso come io?

Egli come uomo sarebbe anche predisposto ad accettare un compito etico in cui riversare il suo bisogno di sentirsi sociale ma dal momento che non può uscire dalla propria soggettività, in quanto non ne conosce né suppone il limite riflesso, questa sua prontezza si riduce in definitiva al timore di dover essere veramente fraterno. E ciò di cui necessita il suo “socio”, o prossimo, o altro da sé, è tutt’altro da ciò che egli ama rappresentarsi per godere della buona coscienza della fraternità e dell’azione sociale.

Una psicoterapia incapace di connessione col fondamento dell’io è solo oscurantismo, adatto alle tenebre dei nuovi tempi che stiamo vivendo.

Il connettersi al mondo secondo l’identità del fondamento è una verità antica, che i testi antichi, detti sacri, riportano in varie espressioni. Queste scritture ci ricordano che l’amore verso le cose o gli esseri è reale solo se rivolto all’ATMAN che li sostiene, sia pur esso ALLAH, YHWH, ELYON, GEOVA, ecc. C’è però fra uomo antico e l’uomo moderno una diversità profonda riguardo alla realizzazione di questa relazione con questi nomi di entità divine. L’uomo antico che le pensava aveva già in quel pensiero l’iniziale fluire delle forze del divino: il suo pensiero non era disanimato dalla cerebralità come quello dell’uomo d’oggi è disanimato dal cuore. L’uomo moderno che pensi l’ATMAN, l’essenza, il fondamento, il LOGOS, ha a che fare con un’immobile astrazione, la cui unica possibilità di movimento è formale: logica o dialettica. L’uomo odierno necessita di una vivificazione di rapporto del pensiero, non con l’ATMAN o col LOGOS, ma con se stesso! Questo è il senso dell’ascesi del pensare, che è il suo proprio compito secondo lo spirito del tempo in cui vive attualmente, cioè oggi, non ieri, che sarebbe anacronistico e impossibile. Eppure lo fa: vive nell’anacronismo generando crisi in tutto il pianeta.

Insomma, nella misura in cui l’uomo ricava la propria coscienza mediante cerebralità vincolata al centro delle forze di vita (e quindi connettendosi astrattamente o ideologicamente alla fonte della propria vita interiore) non può avere rapporto con tale centro, dato che fondare la sua consapevolezza su un pensato (ideologia) anziché sul pensare significa basarsi su un pensiero fisso, cioè non animato, non sulla vita del pensare, che in quanto vivente non può essere disanimata. Volgere in tali condizioni (di pensiero dogmatico, ideologico o partitocratico) all’esperienza di profondità della coscienza o della sede metafisica del cuore, significa provocare situazioni patologiche, tendenti a rivestire sembianza psicologica o mistica. Significa fingere l’illuminazione… e perfino sorridere “alla Osho”, cioè senza motivi, alla civiltà della menzogna che si vorrebbe mutare, e che gattopardianamente non si riesce mai a mutare in quanto si presume partire e “animarsi” da un pensato fuori di sé, anziché da movimento interiore, che si muove in sé (anima).

Quando l’esperienza della psiche è impedita da “pensati” (dogmi di pensiero, dogmi scientifici, regole di comportamento, morali eterodirette, ecc.) psichicamente annodati alla razionalità, il lavoro basale occorrente dovrebbe essere, per forza di cose, innanzitutto la conoscenza di quei nodi. La PERCEZIONE del nodo è appunto l’inizio del suo scioglimento, affinché il pensare il sentire e l’agire, liberati, non evadano dall’umano ma ritrovino nell’uomo interiore il loro centro, dato che solo così hanno la forza di operare in lui.

Fuori da questo centro, l’attuale pensare, sentire, ed agire, la mente ordinaria, la psiche quotidiana, sono costretti a manifestarsi a un livello sub-umano. La costrizione proviene da un unilaterale movimento del pensare rivolto a temi del tutto ideologizzati, cioè astrattamente cerebrali.

Pertanto, la presenza di filosofi, sociologi, terapeuti, esperti, tecnici, ecc., capaci di rappresentare il disagio o le contraddizioni della civiltà, rischia di essere un ulteriore tranello, affinché non si conosca la situazione quale realmente è, e non si esca da quel disagio. Talune denunce, o critiche del mondo contemporaneo, sono esse stesse espressione del livello a cui tale mondo si è degradato e hanno perciò il compito di fornire illusorie vie di rettificazione, affinché tutto lo status quo permanga com’è senza cambiare di una virgola.

La situazione della civiltà è in definitiva antiscientifica. Perché tutto ciò che manifesta, rimanda logicamente all’identificazione del principio interiore dei valori che afferma; ma quell’identificazione, che dovrebbe essere decisiva per la relazione cosciente col fondamento, sembra essere l’unica cosa impossibile alla scienza.

La scienza infatti rifiuta di conoscere il principio stesso, dato che in ogni dottrina psicologica e psicopatologica di ispirazione empiristica o naturalistica, il concetto dell’io è considerato qualcosa di inautentico, addirittura è pensato come uno pseudoconcetto, in quanto privo di autonomo fondamento di realtà e di razionalità! Contraddizione questa, la cui assurdità si va esprimendo nelle varie forme di DESTINO dell’umanità odierna; forme in realtà inspiegabili a una ragione umana vincolata al limite che presume criticare.

In questa penosa mancanza di logica e di obiettività dell’analisi dialettica che oggi prende il posto della psicoterapia, un contributo all’orientamento di quest’ultima, e perciò all’indagine psicologica verso la conoscenza che essa presuppone e contemporaneamente elude (!), non potrà che essere la conoscenza dei suoi mezzi interiori e della loro scaturigine che è METADIALETTICA! La responsabilità che la moderna psicoterapia assume nella funzione di portatrice di tale contraddittoria conoscenza, può essere alleggerita solo dal fatto che talune personalità coscienti e moralmente responsabili operino psicoterapicamente attingendo soprattutto dalla LORO autonoma intuizione.

Occorre rendersi conto che anche se i fatti della psiche confinano con quelli del corpo o vi ineriscono o ne sono stimolati, ciò non significa che siano prodotti dal veicolo fisico! Significa solo che è ora di verificare se tali fatti possano essere seguiti, oltre tale veicolo, nella psiche, vale a dire in veicoli che - pur non essendo percepibili sensibilmente, materialisticamente - non si può dire che non siano quotidianamente percorsi dall’autocoscienza: dato che proprio tali fatti sono correlati unicamente alla psiche, implicando il suo essere, PRIMA del suo manifestarsi. L’uomo interiore può ripercorrere i fatti della psiche, percezioni extra-coscienti comprese, può sperimentare tutte le forze dell’attività interiore, ma a condizione di realizzarsi anzitutto come “io” cioè come il soggetto che mediante queste esperienze quotidianamente si estrinseca.

Una coscienza che non attui se stessa non può edificare come scienza la propria fenomenologia.

Non c’è fenomenologia che non presupponga il proprio principio. E nel caso della psicoterapia, il principio è l’io, cioè il soggetto stesso dell’indagine fenomenologica.

Una coscienza che non sia autocoscienza, grazie alla percezione del processo metadialettico di continuo presupposto dalla propria attività, non può porre i temi della psiche e della coscienza. La chiave del problema è pertanto L’ESPERIENZA METADIALETTICA. Di questa esperienza dovrebbe imparare ad accorgersi lo psicoterapeuta, il politico, il parlamentare, l’economista, il monetarista, ecc., dato che non vi sono solo comunicazioni dialettiche, ma anche comunicazioni non dialettiche, sovrasensibili, immateriali, spirituali, intuizioni. Basta uno sguardo per comunicare qualcosa…

Il compito di seguire mediante strumenti fisici la fenomenologia psichica, presuppone essenzialmente quello di stabilire fino a che punto la fenomenologia coincida con processi fisici e dove invece manifesti la propria realtà come indipendenza da quelli; e in tal caso dove sia ritrovabile il reale livello dei suoi principi: così che non si confonda l’elemento fisico con quello psichico, né questo con quello spirituale, né si creda di seguire l’uno, mentre si è annodati all’altro.

Per la moderna ricerca, l’indistinzione tra questi elementi è tale che la ricerca procede senza supporre alcun problema di distinzione. Le forme mediante cui la ricerca si estrinseca come Sapere, si svolgono grazie ad un’elaborazione strutturale-deduttiva, connessa al perfezionamento dei mezzi di registrazione dei processi fisici, che si presume siano indicativi dei moti della psiche solo per il fatto che si accompagnano a questi. Al tempo stesso gli eventi della coscienza sono visti indipendentemente dalla loro distinzione a seconda che abbiano origine corporea, o spirituale, o che esprimano un eccesso o un difetto dell’azione dell’io su uno dei suoi veicoli, psichico, vitale, fisico.

La distinzione non può essere un fatto meccanico, né determinabile mediante nozioni, bensì un atto costituito da un pensare che va oltre la dialettica, di volta in volta attingente esso stesso al fondamento.

Attraverso i temi che tratta, l’indagine psicologica, per essere anche psicoterapeutica, dovrebbe pertanto essere in grado, senza vincolarsi a premesse metafisiche di sorta (anche il credere all’inconscio o alla materia è una fede metafisca), riconoscere su base logica il proprio assunto spirituale, nonché l’esigenza di requisiti qualitativi dell’indagatore, affinché la sua conoscenza della psiche sia esperienza pura. Se l’oggetto psichico è veramente percepito, il pensare non ha nulla da aggiungervi, perché nella percezione consiste ed è già la sua identità con l’oggetto. Solo allora il contenuto metadialettico può farsi dialettico, dato che, a quel livello, la moralità e la conoscenza, coincidono e solo allora tale contenuto risulta oggettivo evento scientifico, non determinato da esigenze etiche bensì, da esigenze scientifiche.

Chi sa sperimentare eventi (e non solo processi) della psiche, sa anche verificare come le attività della psiche, pur essendo stimolate dalla vita materiale, in realtà sorgono e si continuano mediante movimenti del tutto INDIPENDENTI da tale vita materiale. Perciò è anche in grado di rinviarli all’io, cioè ad un fondamento su cui poggia la corporeità stessa. Egli può cogliere nella contemplazione di quel movimento, il fondamento meta-dialettico da cui quel movimento scaturisce e opera come vita psichica. Il fondamento ha bisogno della mediazione dei sensi, per esprimersi come coscienza di sé, necessaria all’immediato rivelarsi del mondo al livello dei sensi. Per cui allo scienziato che confonda il principio della forma con la sua manifestazione, o il concetto con la cosa, la coscienza può apparire fondata sull’organismo corporeo e il mondo apparire esclusivamente sensibile, materiale. Ma se la coscienza non è cosciente del proprio fondamento, non può decidere circa un altro fondamento. Ecco perché il terapeuta psicologo o psicoterapeuta non può avere alcuna comunione con l’altrui fondamento, ignorando il proprio! L’identità interiore con l’alterità corporea, non è in verità coscienza: è l’illusoria coscienza che assume come reale (e perciò traducibile in scienza) il fenomeno privo della relazione ideale mediante cui il fenomeno ogni volta gli si offre da osservare. Per cui dell’uomo egli può contemplare solo l’animale, cioè la natura destituita di io o di spirito. Non può, come coscienza psicoterapica, comprendere il suo male, né aiutarlo a guarire.

In quanto esseri umani, in tutti i casi odierni di indagine psicologica, psichiatrica, psicoterapeutica, sociologica,, ecc., e in generale scientifica riguardante l’antropos, dovremmo sentire essenziale avvertire come le ricerche scaturiscano sempre dal fondamento dell’io, anche e soprattutto quando i ricercatori psicoterapeuti non ne siano consapevoli e/o quando nel loro materialismo scientifico si oppongano a tale fondamento. Certamente un simile sentire è improbabile per chi crede l’essere umano nulla più di un animale. NON può esistere ricerca mediante la quale tale fondamento non esiga essere contemplato. Volenti o nolenti, l’io è il fondamento che nell’oggettività del mondo cerca il mistero del proprio essere, del finito e dell’infinito. I ricercatore se è onesto può ritrovarlo. E lo ritrova come realtà sovrasensibile entro la sfera sensibile, anche se questa sembra negarla, essendo però illusoria nella misura in cui la nega.

Bibliografia essenziale:
Massimo Scaligero, “Psicoterapia. Fondamenti esoterici”, Ed. Perseo, Roma 1974.