Appendice 7ª - La distinzione dell’animico dall’extra-animico ad opera di Franz Brentano

Brentano mostra in diverse esposizioni come tendesse fortemente a una chiara separazione dell’animico dall’extra-animico. È il suo concetto dell’anima, caratterizzato in questo scritto, che ve lo spinge. Per vederlo, si guardi a come cerchi di definire l’esperienza dell’anima mentre si convince di una verità. Si chiede: da dove proviene ciò che l’anima sperimenta come convincimento, da collegare ad un contenuto rappresentativo? Alcuni pensatori credono che il grado di convincimento rispetto ad una verità consista in una sentita intensità con cui si sperimenta il corrispondente contenuto rappresentativo. Brentano dice in proposito:

“È falso, è un vero e proprio errore a cui quasi tutti sottostanno, e da cui neanch’io mi ero ancora liberato, quando scrivevo il primo volume della psicologia, che il cosiddetto grado di convincimento sia un grado di intensità del giudicare che si potrebbe considerare analogo all’intensità di piacere e dolore. Se Windelband mi avesse rinfacciato questo errore gli avrei dato pienamente ragione. Ora però egli mi rimprovera di aver voluto riconoscere nel convincimento un’intensità solo analoga, non però nello stesso senso, e di aver dichiarato incomparabili in grandezza, la presunta intensità del convincimento e la vera intensità del sentimento. Abbiamo qui una delle conseguenze della sua perfezionata interpretazione del giudizio.

Se il grado di convincimento del mio credere che 2 + 1 = 3 fosse un’intensità, chissà come dovrebbe essere potente! E se ora con Windelband si potesse fare di questo credo un sentimento, non semplicemente pensato analogo al sentimento, chissà come dovrebbe diventare distruttiva per il nostro sistema nervoso la violenza della commozione del sentimento! Ogni medico dovrebbe sconsigliare lo studio della matematica come qualcosa di sconquassante per la salute” (pag. 57 dell’“Origine della conoscenza morale” di Brentano). Se Brentano avesse potuto seguire ulteriormente ciò che operava in lui in questa tensione verso l’essenza del convincimento, avrebbe scorto la distinzione che risulta fra: l’animico-che-rapprcsenta-che-quando-si-forma-un-convincimento-non-sperimenta-in-sé-alcuna-intensità e: ciò che è extra-animico, che penetra nel contenuto dell’animico, e che nell’intensità del grado di convincirnento anche nell’anima resta qualcosa di extra-animico, così che la vita interiore vede, sì, il grado di convincimento, ma non vive con esso.

In un campo simile, ciò che Brentano presenta nel suo saggio “Sull’individuazione, molteplice qualità e intensità dei fenomeni animici” (pag. 51 e segg. del suo scritto Untersuchungen zur Sinnespsychologie”) fa parte di una netta distinzione dell’animico dall’extra-animico. Lì, si sforza di mostrare come un’intensità non sia innata nel vero e proprio animico, e come il grado d’intensità del sentire animico sia un vivere quanto è extra-animico sulla scena dell’animico. Brentano sente che non si debba affatto giungere all’“oscurità mistica” della non scientificità quando ci si sforza di sviluppare ulteriorrnente nella conoscenza i germi riposti in tali esami elementari. Quindi alla fine del saggio citato (pag. 77 e seg.) scrive: “Ciò che questo poi significherà più avanti è ben evidente. Che cosa la psicologia herbartiana non ha costruito su questo dogma, e quanto non vi ha costruito anche la psicofisica (intende il dogma dell’intensità dell’animico). Tutto ciò verrà trascinato nella caduta. E vediamo così come la precisazione di un piccolo punto della teoria della sensazione eserciterà un influsso riformatore di grande portata. Le stesse ipotesi che sono state enunciate sul cosmo di conseguenza risulteranno mutate. Per le due sfere dello psichico e del fisico si è sostenuto in molti modi un’analogia generale; non se ne è certo prodotta la prova, e neppure si è cercato seriamente di produrla. Ci si è tenuti del tutto sulle generali, e quindi il pensiero che l’intensità fosse un tipo di grandezza propria di ogni elemento psichico, così come quella spaziale lo è di ogni elemento corporeo, poteva bastare al ruolo ad essa assegnato. Ma una volta sostenuta l’analogia generale di psichico e fisico, perché non sostenere piuttosto addirittura la loro identità, o semplicemente sostituire l’uno con l’altro? Analogo in tutto al fisico e garantito in se stesso solo attraverso l’evidenza percettiva, lo psichico deve far sembrare superflua ogni supposizione ipotetica di una fisicità. Così conclude infatti tra le altre anche la psicologia wundtiana col pensiero che la supposizione di un mondo fisico, dopo essere stata utilizzata euristicamente per un po’, possa venir lasciata cadere come un’impalcatura, e che allora l’intero della verità autentica si rivelerebbe come un edificio puramente psichico del mondo. Questo pensiero ha avuto finora poca probabilità di mai assumere una forma afferrabile e di essere plasmato a fondo nei particolari. Ma la nuova concezione dell’intensità con la sua chiara dimostrazione che una grandezza intensiva può venir chiamata niente meno che universale, propria delle attività psichiche, fa sfumare completamente la speranza che si giunga mai a ciò. Non ci faremo mai togliere il credo nella vera esistenza di un mondo corporeo, ed esso resterà sempre per la scienza l’ipotesi di tutte le ipotesi”.

Cerca un’analogia generale tra psichico e fisico, che Brentano rifiuta, chi non mira a rappresentare in modo chiaro lo psichico da un lato ed il fisico dall’altro, e piuttosto continuando coi suoi concetti ad andare a tastoni sul fisico, attribuisce allo psichico esperienze come quelle dell’intensità, che invece non si possono trovare nel puro animico. Mi pare che il pensiero di Brentano sopracitato sarebbe apparso ancor più chiaro se il suo portatore, nel senso di quanto esposto in questo scritto [“III. Franz Brentano. In memoria”: “Ai fenomeni psichici Brentano contrappone quelli fisici…”, 9§ segg. - ndc], avesse rivolto l’attenzione a quanto è caratteristico del fisico che, quanto a significato, equivale all’intenzionalità nello psichico.

Eppure è già significativo che Brentano porti lo sguardo da considerazioni elementari a visioni che abbracciano enigmi del mondo. Infatti il modo di pensare del tempo moderno non è incline a tali sguardi. Do’ un esempio tra i tanti. Il noto psicologo Fortlage [Arnold Rudolf Karl Fortlage, 1806-1881, filosofo e psicologo - ndc] mostra in un punto delle sue “Acht psychologische Vorträge” (Jena 1869) come fosse vicino col suo intuito ad un certo campo della coscienza veggente, e cioè alla conoscenza della forza con cui l’anima nella coscienza abituale indebolisce la vita. Egli scrive (pag. 35 del libro citato): “Se ci chiamiamo esseri viventi, attribuendoci così un carattere che condividiamo con animali e piante, con la condizione di vivente intendiamo di necessità qualcosa che non ci lascia mai, e che sempre continua in noi, sia nel sonno sia nella veglia: è la vita vegetativa della nutrizione del nostro organismo, una vita incosciente, una vita del sonno. Il cervello fa qui un’eccezione, per il fatto che tale vita della nutrizione, del sonno, nelle pause della veglia è in esso sopraffatta dalla vita della distruzione” (chiamata da me in questo libro “indebolimento”). “In queste pause il cervello è abbandonato ad una distruzione che prende il sopravvento e cade di conseguenza in uno stato che, se si estendesse ai restanti organi, porterebbe all’indebolimento assoluto, o alla morte”. Portando a compimento questo pensiero, Fortlage dice (pag. 39): “La coscienza è una piccola e parziale morte, la morte è una grande e totale coscienza, uno svegliarsi dell’essere intero nelle sue più intime profondità”. Si può solo dire: Fortlage con tali pensieri si trova alla soglia dell’antroposofia, anche se, come Brentano, non vi entra. Eppure, tando egli stesso su questa soglia, Eduard von Hartmann, che è in balia del tipo di rappresentazione moderno, trova che un simile sguardo dalla conoscenza elementare al grande enigma cosmico dell’immortalità sia scientificamente inaccettabile. Eduard von Hartmann scrive di Fortlage: “Egli oltrepassa però i confini della psicologia, quando definisce la coscienza una piccola e parziale morte, la morte una grande e totale coscienza, come un chiaro e totale svegliarsi dell’anima nelle sue profondità...” (Eduard von Hartmann, “Die moderne Psychologie”, Leipzig 1901, pag. 48 e seg.).