REALTÀ DEI DUE BAMBINI GESÙ - CONFERME

La comprensibilità scientifico-spirituale delle due genealogie poggia su fatti concreti che ne costituiscono le tracce e gli indizi, rispecchianti tale chiara visione.
Christian Geyer (1862-1929, teologo protestante tedesco, predicatore e scrittore religioso) confessò una volta che solo per questa via l’idea dei due bambini Gesù gli era diventata accettabile. Forse le sue parole possono essere di aiuto per qualcuno: “L’entità divina del Cristo poté rivestirsi solo con un involucro provvidenzialmente preparato a tale fine. Perciò il corpo in cui il Cristo penetra (al momento del battesimo da parte di Giovanni) è stato sviluppato e abitato prima da un’anima interamente pura e infantile, e poi da uno spirito della più alta saggezza, quale fu lo Zaratustra reincarnato, uno Zaratustra molto più antico di quello storico. L’ammissione che siano vissuti l’uno accanto all’altro due bambini Gesù, uno della linea natanica (Lc 3,31) e uno della linea salomonica (Mt 1,6) fino al momento in cui l’io di Zaratustra del fanciullo salomonico trapassa nel fanciullo natanico per far posto più tardi, col battesimo, all’entità del Cristo, è certo un’ammissione singolare che a prima vista appare strana. Per me è diventata sopportabile soltanto dopo averla tradotta dal linguaggio volutamente oggettivo della costatazione intellettuale, in quello della religione; e significa che poté essere portatore dell’entità Cristo solamente un essere umano che fosse contemporaneamente del tutto bambino e compiutamente sapiente”.
Il segreto dei due bambini Gesù, il mistero dell’infanzia di Gesù e della natura stessa di Gesù è rimasto per secoli occulto. Una volta portato alla luce, diventano comprensibili molte cose che, nella storia dell’umanità, apparvero e disparvero come fuochi fatui. Si illuminarono di chiara luce vari dipinti che prima riuscivano enigmatici. Nel museo di Berlino c’è un quadro di Raffaello che rappresenta una Madonna con tre bambini: la “Madonna del duca di Terranova”

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Uno è il piccolo Giovanni. E gli altri due, uno pieno d’amore sul grembo di Maria, l’altro pieno di saggezza, appoggiato alla madre? Non è necessario concludere che Raffaello abbia avuto dei due bambini Gesù una chiara conoscenza formulabile in pensieri, anche se non escludo che ciò sia stato possibile. Potrebbe darsi che, magari in relazione a una tradizione pittorica segreta, il sentimento ispirato del pittore abbia afferrato un’immagine spiritualmente esistente, proveniente da quel brano di storia dell’umanità tanto vicino al cielo, quando due bambini Gesù giocano insieme a Nazaret. Potrebbe darsi anche che il pittore non abbia saputo chiaramente che cosa dipingeva, pur sapendo di dipingere la verità.
A Milano, nella basilica di Sant’Ambrogio, si ammira un dipinto luminoso di colori del Bergognone (1455-1523): Gesù dodicenne nel tempio. In alto, nel centro, siede in cattedra un fanciullo dal viso illuminato da una sapienza dominatrice, mentre i dotti stanno ai suoi piedi.

In primo piano, a sinistra, avvolto nell’ombra, lo sguardo chino al suolo, in atteggiamento stanco, un altro fanciullo, vestito di colore diverso, si avvia ad uscire dal tempio. Che sia stato coscientemente o meno, questo dipinto è l’esatta rappresentazione dei due fanciulli dopo la loro misteriosa fusione, che appunto si cela dietro al racconto di Gesù dodicenne nel tempio.
Esistono parecchi precursori e analoghi del dipinto del Bergognone, che suggeriscono la possibilità che in certe scuole pittoriche possa essersi tramandata, sotto forma di un motivo pittorico, una conoscenza dei due bambini Gesù. Esempio: una miniatura bizantina del IX secolo, illustrazione dell’opera “De dogmate et constitutione episcoporum” di Gregorio di Nazianzio (Parigi, Biblioteca Nazionale, Ms. gr. 510, fol. 165). Riprodotta in Rohault de Fleury: l’évangile I, XXXI, pag. 66. Per quanto si possano interpretare queste analogie come dipinti in cui le due scene diverse sono raffigurate l’una accanto all’altra, pure l’affresco milanese rivela, con l’appariscente diversità delle due figure di giovanetto, per lo meno una conoscenza istintiva del mistero che si esprime in quella scena. L’obiezione che si tratti di quadri raffiguranti due momenti diversi cade poi del tutto di fronte a un gruppo di dipinti i quali (evidentemente seguendo la tradizione di una certa scuola pittorica), nel raffigurare la scena di “Gesù dodicenne nel tempio” aggiunsero misteriosamente la figura di un secondo Gesù. Così, ad esempio, in certe opere di Gerolamo Giovenone, di Defendente Ferrari, di Martino Spanzotti e di altri, la sacra famiglia al completo, Giuseppe, Maria, e Gesù, tutti e tre caratterizzati dall’aureola, ascoltavano gli insegnamenti di Gesù dodicenne, maestosamente assiso al centro. Il fanciullo che ascolta appoggia il viso, devotamente rivolto verso l’alto, al braccio di Gesù, il quale sta parlando (vedi le due figure seguenti).

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Varianti di questo tema mostrano la famiglia in ascolto divisa in due gruppi e il secondo fanciullo Gesù un po’ in disparte, mentre si accinge ad allontanarsi. Questo gruppo pittorico, sul quale per primo attirò l’attenzione C. S. Picht, fu pubblicato nel numero di Natale nella rivista “Die Christengemeinshaft”, annata XVII, fasc. 9, 1940).
Nel 1969 e 1970 furono stampate due importanti pubblicazioni sull’iconografia dei due bambini Gesù: il volume, riccamente illustrato, di Hella Krause-Zimmer “Die zwei JesusKnaben in der bildenden Kunst” (“I due Bambini Gesù nelle arti figurative”), Verlag Freies geistesleben, Stuttgart, 1969. E l’articolo di Franz Nahm “Die zwei JesusKnaben”, nella rivista “Arte Lombarda”, 1970, secondo semestre.
Così pure qua e là nella letteratura apocrifa dei primi secoli cristiani si ritrovano alcuni passi enigmatici, che ora sono illuminati a distanza dallo svelato mistero di Gesù. In un passo dell’apocrifo VANGELO DEGLI EGIZIANI, di cui si possiedono solo pochi frammenti, si legge: «Alla domanda di Salomé, quando sarebbe venuto il Regno, il Signore rispose: “Quando i due diventano uno e l’esterno come l’interno”»!
Nel testo profetico ebraico “Sefer ha-Zohar” (“Libro dello Splendore”), che è il libro più importante della tradizione ebraica, ritornano spesso passi come questo: “Il figlio di Davide e il figlio di Giuseppe sono due, non uno. Il figlio di Giuseppe morirà di una morte crudele. A lui succederà il figlio di Davide. Il Messia, che è figlio di Giuseppe si riunirà al figlio di Davide, però sarà ucciso”. “Un altro Messia, il figlio di Giuseppe, si riunirà col figlio di Davide. Ma il Messia, figlio di Giuseppe, non resterà in vita, sarà ucciso e ritornerà vivo, quando la collina piccola riceve la vita sul colle grande”. “Il Messia figlio di Davide, e il Messia figlio di Giuseppe, sono precipitati nell’abisso. Uno di loro è un pover’uomo che cavalca un asino, l’altro è il primogenito di un Toro” (Il Toro rappresenta la Torà, cioè la legge degli ebrei. La Torà è la nostra Bibbia (i suoi primi cinque libri), la cui prima parola, “Berescìt”, “In principio”, inizia con una “b”, che in ebraico ha valore numerico 2).

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Non voglio certo dire che in queste frasi geroglifiche si tratti proprio di 2 bambini Gesù, ma danno l’impressione di chi va a tentoni in un luogo tenebroso, riuscendo a palpare incerti contorni di qualcosa che può essere riconosciuto solo nella chiara luce.
(L’attesa di 2 Messia, uno sacerdotale, l’altro regale, risulta anche dai famosi manoscritti del Mar Morto, scoperti nel 1947. Com’è noto, i manoscritti del Mar Morto, scoperti nelle grotte di Qumran, provengono dalla setta degli Esseni, di cui Emil Bock ha scritto diffusamente nel volume “Cesari e Apostoli” e che menziona estesamente anche nell’opera “Infanzia e giovinezza di Gesù” (Ed. Antroposofica). Sull’attesa messianica della setta di Qumran si veda, tra l’altro, il volune “La secte de Qumran et les origines du christianisme” di Autori vari, pubblicato nel 1959 a Lovanio da Desclèe De Brouwer, pag. 124-125).
Nello scritto paleocristiano “I testamenti dei dodici patriarchi”, nei quali ognuno dei 12 figli di Giacobbe lascia un testamento alla sua tribù, si legge alla fine del testamento di Simeone: “Un giorno Sem sarà glorificato, quando il Signore, il grande Dio di Israele, apparirà sulla terra in un uomo e per mezzo suo salverà l’umanità. Allora tutti gli spiriti dell’errore saranno abbandonati e calpestati; gli uomini regneranno sugli spiriti malvagi. Allora io risusciterò giubilando e lodando l’Altissimo per i suoi prodigi. Perché Dio, dopo aver assunto un corpo e mangiato insieme agli uomini, ha salvato gli uomini. E ora, figlioletti miei, obbedite a Levi e per mezzo di Giuda (Levi e Giuda sono due dei 12 figli di Giacobbe, capostipiti delle tribù che da loro presero il nome; i discendenti di Levi furono sacerdoti, i Leviti, e dalla tribù di Giuda nacque Gesù, il Messia Salvatore) sarete salvati. Non insorgete contro queste due tribù, perché da loro vi scaturirà la salvezza di Dio. Infatti il Signore risveglierà da Levi un Sommo Sacerdote e da Giuda un Re, Dio e Uomo” (II, 6-7). Queste parole in forma di profezia sono singolari, tanto che ancora una volta è impossibile applicarle direttamente ai due Gesù: entrambe le genealogie dei vangeli, sia quella di Matteo, sia quella di Luca, risalgono a Giuda, e nessuna delle due a Levi. Eppure questa profezia si è avverata nei due bambini Gesù, in quanto il Gesù salomonico (Matteo) discende dalla linea dei Re, e quello natanico (Luca) da una linea sacerdotale (è singolare che la linea natanica, elencata dal vangelo di Luca, sebbene non discenda da Levi, contenga due volte il nome Levi. Sebbene discenda da Giuda, a questa linea, in quanto sacerdotale, devono essere state attribuite funzioni levitiche).

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Nella figura (a sinistra): Bernart van Orley (1491-1542), SACRA FAMIGLIA CON ELISABETTA, GIOVANNINO E UN TERZO BAMBINO (San Francisco, Collezione privata). Il terzo bambino, a sinistra in basso, ha un’aureola. Il pittore mette in evidenza che questo bambino, di circa due anni, sa già scrivere. Egli si appoggia su una pietra squadrata, uguale e simmetrica a quella su cui, a destra, sta in piedi il piccolo Giovanni, con tutti i suoi usuali attributi. Su questa seconda pietra si legge chiaramente (nel volume di Bock “Infanzia e giovinezza di Gesù”, op. cit.) e superfluamente il nome “Johannes”. Si può quindi immaginare che sull’altra pietra si trovi inciso, ma accuratamente nascosto, il nome del terzo bambino.