IV
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Appendice 1ª - La giustificazione filosofica dell’antroposofia

Chi col proprio modo di pensare voglia avere radici nell’odierno pensiero filosofico ha bisogno di giustificarne in una prospettiva gnoseologica l’essenza animica di cui parla il primo capitolo di questo scritto. Tale giustificazione non è prete a dai molti che conoscono l’animico reale per diretta esperienza interiore e sanno distinguerlo dall’esperienza animica generata dai sensi. Per loro la giustificazione pare spesso superflua, anzi inopportuna pignoleria. A questa loro aversione sta di fronte la non disponibilità dei pensatori filosofici. Questi ammettono le interiori esperienze psichiche solo come esperienze soggettive a cui non attribuiscono valore conoscitivo. Nel campo dei loro concetti filosofici sono quindi poco inclini a cercare gli elementi attraverso i quali ci si avvicini alle idee antroposofiche. Questa duplice avversione rende una comprensione estremamente difficoltosa. Essa è però necessaria. Infatti nella nostra epoca si può attribuire un valore conoscitivo a un modo di pensare solo quando questo possa far valere le sue idee appunto di fronte alla stessa critica davanti a cui le leggi scientifiche cercano la propria giustificazione. Per una giustificazione gnoseologica delle idee antroposofiche si tratta innanzitutto di afferrare in concetti, il più esattamente possibile, il modo in cui quelle sono sperimentate. Lo si può fare nei modi più diversi. Si cercherà di descriverne qui due. Per la descrizione del primo si parta dall’esame della memoria. Si è così spinti però subito in un punto critico della scienza filosofica del presente. In questa infatti dominano concetti poco chiari sull’essenza della memoria. Prenderò qui le mosse da rappresentazioni che ho, sì, trovato sulle vie dell’antroposofia, ma che sono del tutto giustificate filosoficamente e fisiologicamente. Lo spazio che mi devo assegnare in questo scritto non basta tuttavia per dare qui quest’ultima giustificazione. Spero di fornirla in uno scritto futuro. Voglio dire però che chiunque sappia considerare giustamente i risultati oggi disponibili della fisiologia e della psicologia può trovare giustificato ciò che io dirò sulla memoria.

Le rappresentazioni suscitate dalle sensazioni passano nel campo dell’esperienza umana inconscia. Ripescate dall’inconscio, possono essere ricordate. Le rappresentazioni sono di natura puramente animica; la loro coscienza è condizionata dal corpo nella vita di veglia abituale, né può l’anima legata al corpo farle risalire con le proprie forze dalla condizione inconscia nella coscienza. Per questo ha bisogno delle forze del corpo. Per la memoria abituale deve essere attivo il corpo, proprio come il corpo deve essere attivo per la formazione delle rappresentazioni sensibili nei processi degli organi di senso. Se mi rappresento un processo sensibile, si deve prima svolgere un’attività corporea negli organi di senso; la rappresentazione compare nell’anima come suo risultato. Se ho un ricordo di una rappresentazione, deve effettuarsi un’azione corporea interiore (in organi sottili), polarmente contrapposta all’attività sensoriale, e nell’anima compare come risultato la rappresentazione ricordata. Questa rappresentazione si riferisce a un processo sensoriale che tempo addietro è stato davanti alla mia anima. Lo rappresento attraverso un’esperienza interiore di cui mi rende capace l’organizzazione corporea. Si richiami ora l’essenza di una simile rappresentazione mnemonìca, perché attraverso tale richiamo si giunge all’essenza di quelle che sono le idee antroposofiche. Queste non sono rappresentazioni mnemoniche, ma compaiono nell’anima come le rappresentazioni mnemoniche. Questa è una delusione per molte persone che vorrebbero con piacere avere rappresentazioni più grossolane sul mondo spirituale. Ma non si può sperimentare il mondo spirituale in modo più grossolano che nel ricordo di un evento sperimentato tempo addietro nel mondo sensibile, e che non sta più davanti agli occhi. Ora però la capacità di ricordare una simile esperienza viene dalla forza dell’organizzazione corporea. Essa non può collaborare all’esperienza di ciò che è essenzialmente animico. L’anima deve piuttosto risvegliare in se stessa la capacità di compiere con rappresentazioni ciò che il corpo compie con le rappresentazioni sensibili, quando ne media il ricordo. Tali rappresentazioni, che sono portate su dalle profondità dell’anima col solo tramite della forza animica come le rappresentazioni mnemoniche dalle profondità della natura umana tramite l’organizzazione corporea, sono le rappresentazioni che si riferiscono al mondo spirituale. Esse sono presenti in ogni anima. Ciò che deve essere acquisito, per accorgersi della loro esistenza, è la forza di portare su dalle profondità dell’anima queste rappresentazioni per mezzo di un’attività puramente animica. Così come le rappresentazioni sensibili ricordate si riferiscono a un’impressione sensibile passata, allo stesso modo queste rappresentazioni si riferiscono ad un rapporto dell’anima col mondo spirituale, rapporto che non è presente nel mondo sensibile. L’anima umana sta di fronte al mondo spirituale così come l’uomo in generale sta di fronte ad un esistere dimenticato; giunge alla conoscenza di quel mondo quando risveglia in sé forze simili a quelle del corpo che servono alla memoria.

La giustificazione filosofica delle idee del vero elemento animico dipende quindi da un’indagine della vita interiore che trovi in se stessa un’attività che sia puramente animica, sotto un certo aspetto pari all’attività esercitata nel ricordo.

Vi può essere un secondo modo di formarsi un concetto di ciò che è puramente animico. Si può prendere in considerazione ciò che si può stabilire tramite l’osservazione antrosofica dell’uomo che vuole (che agisce). Alla base di un impulso di volontà che si esplichi vi è prima la rappresentazione di ciò che si vuole. Questa rappresentazione può essere riconosciuta fisiologicamente nella sua dipendenza dall’organizzazione corporea (dal sistema dei nervi). Alla rappresentazione è legata una sfumatura di sentimento, un simpatizzare pieno di sentimento con quanto si è pensato, che fa sì che la rappresentazione fornisca l’impulso per un volere. Poi però l’esperienza dell’anima si perde nelle profondità, e cosciente ricompare poi l’esecuzione. L’uomo si rappresenta come si muove, per eseguire ciò che si era rappresentato (Theodor Ziehen [1862-1950, medico e psichiatra, “Leitifaden der physiologischen Psychologie”, in 15 lezioni, Jena 1900 - ndc] ha esposto questo processo in modo particolarmente chiaro nella sua psicologia fisiologica).

Si può così vedere, quando si tratta di un atto di volontà, come la vita di rappresentazione cosciente si interrompa, per quanto concerne la parte intermedia del volere. Ciò che nel volere è animicamente sperimentato di un’azione compiuta col corpo non entra nel rappresentare cosciente abituale. Ma è anche evidente che un volere simile si realizza attraverso un’attività del corpo. Non sarà però difficile riconoscere che anche l’anima sviluppa un volere quando, seguendo leggi logiche, cerca la verità connettendo fra loro rappresentazioni, e che anche quel volere è implicabile in leggi fisiologiche. Altrimenti non si potrebbe distinguere una connessione illogica di rappresentazioni, o anche solo una connessione a-logica, da una che si volga nei binari della regolarità logica. (Non occorre proprio prendere in considerazione seriamente le chiacchiere dilettantesche secondo cui la sequenza logica sarebbe una mera caratteristica animica acquisita grazie a un adattamento al mondo esterno). In questo volere, che si svolge esclusivamente all’interno dell’anima e che porta a convinzioni logicamente fondate, si può vedere un compenetrarsi dell’anima di pura attività spirituale. Di quanto del volere accade verso l’esterno il rappresentare abituale sa tanto poco, quanto l’uomo sa di sé nel sonno. Neppure dell’essere determinato logicamente nella formazione di convinzioni egli ha però una coscienza così piena, come del contenuto delle convinzioni tesse. Chi sappia, anche solo antropologicamente, osservare nell’intimo, potrà pure farsi un concetto sulla presenza nella coscienza abituale dell’essere determinato logicamente. Riconoscerà che l’uomo sa di questo determinarsi come sa quando sogna. Si può davvero sostenere la giustezza del paradosso: la coscienza abituale conosce il contenuto delle proprie convinzioni; ma sogna soltanto della regolarità logica che vive nel cercarle. Si vede: nella coscienza abituale si dorme nel volere, quando tramite il corpo si esplica un volere verso l’esterno; si sogna nel volere quando si cercano convinzioni nel pensiero. Eppure è chiaro che nell’ultimo caso ciò di cui si sogna non può essere corporeo, perché altrimenti le leggi logiche dovrebbero coincidere con quelle fisiologiche. Se si afferra il concetto del volere che vive nella ricerca della verità col pensiero, questo concetto è quello di una realtà essenzialmente animica.

Da entrambi i modi (oltre i quali altri sono possibili) di avvicinarsi gnoseologicamente al concetto di ciò che è essenzialmente animico nel senso dell’antroposofìa si può desumere come tale realtà essenzialmente animica si distingua nettamente da ogni abnorme attività dell’anima: visionaria, allucinatoria, medianica, e così via. Infatti l’origine di tutta questa abnormità va cercata in qualcosa di determinabile fisiologicamente. L’animico dell’antroposofia non è però solo tale da essere sperimentato animicamente alla maniera della sana coscienza abituale, ma tale da essere sperimentato nello stato di coscienza completamente sveglio nella formazione di rappresentazioni, così come si sperimenta quando ci si ricorda di fatti vissuti della vita, o come si sperimenta nel formarsi di convinzioni in modo logicamente determinato. Si vede bene che l’esperienza conoscitiva dell’antroposofia si svolge in rappresentazioni che conservano il carattere della coscienza abituale che riceve realtà dal mondo esterno e a questa aggiungono facoltà che portano nella sfera spirituale, mentre tutte le visioni, le allucinazioni e così via, vivono in una coscienza che non aggiunge nulla a quella abituale, ma anzi le tolgono facoltà, così che lo stato di coscienza sprofonda sotto il grado che vi è nella percezione sensibile cosciente. Per i lettori dei miei scritti, che conoscono ciò che ho esposto in altri luoghi sulla memoria e il ricordo [cfr. di R. Steiner, “Teosofia”, 0.0. n. 9, all’inizio del capitolo “Reincarnazione dello spirito e destino” Ed. Antroposofica, Milano 1981, pag. 48, e “La scienza occulta nelle sue linee generali”, 0.0. n. 13, nel capitolo “L’essere dell’uomo”, Ed. Antroposofica, Milano 1985, pag. 44, ed anche a pag. 352 segg. - ndc], faccio notare dell’altro: le rappresentazioni passate nell’inconscio che sono poi ricordate, mentre restano inconsce, vanno cercate come rappresentazioni nella parte costitutiva dell’entità umana che nei miei scritti è denominata corpo vitale (o eterico). L’attività però, attraverso la quale le rappresentazioni ancorate nel corpo vitale sono ricordate, appartiene al corpo fisico. Faccio questa osservazione affinché qualche “frettoloso giudice” non costruisca una contraddizione là dove è necessaria una distinzione richiesta dalla natura della cosa.