Appendice 6ª - Le connessioni fisiche e spirituali dell’entità umana

In pochi tratti desidero ora anche esporre ciò che mi è risultato in merito alle relazioni esistenti fra la parte animica e quella fisico-corporea. Posso ben dire di esporre così i risultati di una ricerca scientifico-spirituale durata trent’anni. Soltanto negli ultimi anni mi è diventato possibile afferrare in pensieri esprimibili in parole ciò di cui si tratta, e in modo da poter portare i risultati a una specie di conclusione provvisoria. Anche di questo mi permetterò di esporre qui soltanto indicativamente i risultati. La loro giustificazione può senz’altro venir data con i mezzi scientifici oggi esistenti. Questo diverrebbe oggetto di un libro voluminoso, ma le condizioni attuali non mi consentono ora di scriverlo.

Se si analizza la relazione fra la parte animica e quella corporea, non si può porre a base la partizione delle esperienze animiche, in rappresentazione, giudizio e fenomeni di amore e di odio, come la propone Brentano [...]. Nel ricercare quelle relazioni, una simile partizione porta a un tale spostamento di tutte le condizioni da considerare, che non e più possibile arrivare a risultati adeguati. In uno studio del genere bisogna muovere dalla partizione, rifiutata dal Brentano, in rappresentare (pensare), sentire e volere. Riassumendo tutti i fenomeni dell’attività interiore sperimentabili nell’attività di rappresentazione, e ricercandone la relativa parte di processi corporei in relazione con essi, si trovano in grande misura i nessi corrispondenti, secondo i risultati della psicologia fisiologica di oggi. I contrapposti corporei della parte dell’attività interiore legata al rappresentare vanno visti nei rocessi del sistema dei nervi, con il loro sfociare da un lato negli organi sensori, e dall’altro nell’organizzazione interna corporea. Malgrado da un punto di vista antroposofico molte cose vadano pensate diversamente da quanto lo faccia la scienza attuale, pure nella scienza abbiamo un’ottima base.

Non così se si vogliono determinare i contrapposti corporei per il sentire ed il volere. A questo proposito ci si deve prima tracciare la giusta via in mezzo ai risultati della fisiologia di oggi. Quando ci si arriva, si trova che, come il pensare va messo in relazione con l’attività dei nervi, così il sentire è da mettere in relazione col ritmo vitale che ha il suo centro nell’attività del respiro e che è ad essa connesso. In proposito bisogna considerare che, per lo scopo prefisso, il ritmo respiratorio, con tutto quanto è ad esso legato, va seguito fino alle estreme parti periferiche dell’organizzazione. Per arrivare in questo campo a dei risultati concreti, le esperienze della ricerca fisiologica devono essere seguite in una direzione che oggi ancora non è molto abituale. Solo quando si faccia questo, scompariranno tutte le contraddizioni che risultano in un primo tempo, mettendo in relazione il sentire e il ritmo respiratorio. Ciò che prima risulta una contraddizione, ad uno studio più approfondito diventa prova del nesso proposto. Dal vasto campo che in proposito dev’essere esaminato prendiamo soltanto un singolo esempio. L’esperienza musicale è basata sul sentire. Il contenuto della struttura musicale vive però nella rappresentazione che è trasmessa mediante le percezioni dell’udito. Attraverso che cosa nasce l’esperienza musicale nel sentimento? La rappresentazione del suono, che è basata sull’organo dell’udito e sul processo dei nervi non è ancora l’esperienza musicale. Quest’ultima nasce in quanto nel cervello il ritmo del respiro, nella sua continuazione fin dentro a questo organo, s’incontra con ciò che è avvenuto grazie all’orecchio ed al sistema dei nervi. L’anima vive ora non in ciò che ha solo udito e si è rappresentata, ma vive nel ritmo della respirazione; essa sperimenta ciò che è liberato nel ritmo della respirazione per il fatto che in un certo senso quel che avviene nel sistema nervoso s’imbatte appunto nella vita ritmica. Occorre però guardare la fisiologia del ritmo respiratorio nella giusta luce, e allora si arriverà a riconoscere pienamente il principio che l’anima sperimenta, in quanto essa si appoggia al processo dei nervi nel rappresentare.

In relazione al volere, si trova che esso si appoggia in modo analogo ai processi del ricambio. Anche qui bisogna considerare tutte le diramazioni e le propaggini dei processi del ricambio che esistono nell’intero organismo. E perciò così come quando qualcosa è “rappresentato” si verifica un processo nervoso in base al quale l’anima diventa cosciente di quanto essa si è rappresentata, e così come poi, quando qualcosa è “sentito”, si verifica una modificazione del ritmo respiratorio, mediante il quale si suscita un sentimento nell’anima, allo stesso modo, quando qualcosa è “voluto”, avviene un processo del ricambio che è la base corporea di ciò che si sperimenta nell’anima quale volere.

Nell’anima si ha però una cosciente e chiara esperienza soltanto per le rappresentazioni trasmesse dal sistema dei nervi. Ciò che è trasmesso mediante il ritmo della respirazione vive nella coscienza abituale con l’intensità che hanno le rappresentazioni del sogno. A questo campo appartiene tutto quanto è legato al sentimento, e anche tutti gli affetti, tutte le passioni, e così via. Il volere, che si appoggia ai processi del ricambio, non è sperimentato coscientemente che al basso grado di coscienza del tutto ottuso, che esiste nel sonno. In uno studio più preciso di ciò che qui si considera, si noterà che si sperimenta il volere in modo del tutto diverso dal rappresentare. Si sperimenta quest’ultimo press’a poco come si vede una superficie coperta da un colore; si sperimenta invece il volere come una superficie nera inserita in un campo colorato. In una superficie, nella quale non vi sia colore, si “vede” qualcosa appunto perché da essa, contrariamente a ciò che la circonda e da cui provengono impressioni di colore, non giungono tali impressioni: ci si “rappresenta il volere” perché, nell’ambito delle esperienze rappresentative dell’anima, si inserisce in certi punti una non-rappresentazione che, nello sperimentare pienamente cosciente, si interpone in modo analogo alle interruzioni della coscienza, portate col sonno, nel corso della vita cosciente. Da questi diversi modi dello sperimentare cosciente deriva la varietà delle esperienze animiche nel rappresentare, nel sentire e nel volere.

Nel suo libro “Leitfaden der physiologischen Psychologie” (Manuale di psicologia fisiologica), Theodor Ziehen è condotto a significative caratterizzazioni del sentimento e della volontà. Sotto molti aspetti questo libro è esemplare per il modo attuale di studiare scientificamente i nessi fra il fisico e lo psichico. Il rappresentare, nelle sue diverse estrinsecazioni, è posto coi nervi nella relazione che si deve riconoscere anche dal punto di vista antroposofico. Però sul sentimento, nella lezione IX di tale libro, Ziehen dice: “Quasi senza eccezione l’antica psicologia considera gli affetti come manifestazioni di una particolare e autonoma capacità animica. Kant metteva il sentimento del piacere e del dispiacere quale particolare facoltà animica fra la capacità della conoscenza e quella del desiderio, sottolineando espressamente che un’ulteriore derivazione di quelle tre capacità dell’anima da una base comune non era possibile. Per contro le nostre precedenti esposizioni ci hanno già insegnato che i sentimenti del piacere e del dispiacere non esistono affatto in tale autonomia e che essi compaiono piuttosto soltanto quali proprietà o caratteristiche di sensazioni e rappresentazioni, quali cosiddette sfumature di sentimento”.

Questo modo di pensare non riconosce quindi al sentimento alcuna autonomia nella vita dell’anima; vede in esso soltanto una proprietà del rappresentare. La conseguenza ne è che esso fa reggere dai processi nervosi non solo la vita delle rappresentazioni, ma anche quella dei sentimenti. Per tale modo di pensare, la vita dei nervi è la parte corporea alla quale è ascritta l’intera attività animica. In sostanza però quel modo di pensare si basa sul fatto di pensare inconsciamente già in anticipo quello che vuole trovare. Considera dell’animico soltanto ciò che è in relazione coi processi dei nervi, e per questa ragione deve vedere come non esistente in modo autonomo ciò che non può essere ascritto alla vita dei nervi, cioè il sentire; lo considera come semplice caratteristica del rappresentare. Se con i nostri concetti non ci lasciamo portare in tal modo verso una direzione sbagliata, risulterà in primo modo chiaramente, ad una osservazione animica spregiudicata, l’autonomia della vita dei sentimenti; e in secondo luogo la rivalutazione aperta delle conoscenze fisiologiche ci procurerà il concetto che il sentire va ascritto al ritmo della respirazione, nel modo prima indicato.

Il modo di pensare scientifico non assegna al volere alcuna natura autonoma nella vita dell’anima, Non sarebbe neppure una caratteristica del rappresentare, come lo sarebbe invece il sentire. Tale negazione dipende di nuovo dal fatto che si vuole riconoscere ogni corrispondenza animica solo ai processi nervosi (confrontare la lezione XV del libro citato di Theodor Ziehen). Ora però non si può riferire il volere, con la sua speciale caratteristica, ai veri e propri processi nervosi. Proprio quando si lavora con l’esemplare chiarezza di Theodor Ziehen, si può venir spinti all’opinione che l’analisi dei processi animici, nella loro relazione con la vita del corpo, “non riveli alcuna disposizione ad accettare l’ipotesi di una speciale capacità volitiva”. Eppure lo studio spregiudicato dell’anima costringe a riconoscere la vita autonoma del volere; anche uno studio idoneo dei risultati fisiologici mostra che il volere, come tale, va messo in relazione non con i processi nervosi, bensì con i processi del ricambio.

Se in questo campo si vogliono raggiungere chiari concetti, bisogna guardare i risultati fisiologici e psicologici nella luce che la realtà esige; e non invece, come spesso capita nella fisiologia e nella psicologia correnti, in un riflesso cioè che deriva da opinioni e da definizioni precostituite, oppure anche da simpatie e antipatie teoriche. Innanzitutto occorre mettersi bene dinanzi agli occhi le relazioni intercorrenti fra attività dei nervi, ritmo della respirazione e attività del ricambio. Queste forme di attività non stanno affatto una accanto alle altre, ma una nell’altra; si compenetrano, si frammischiano. L’attività del ricambio esiste in tutto l’organismo, compenetra gli organi del ritmo e quelli dell’attività nervosa. Ma nel ritmo l’attività del ricambio non è la base corporea del sentire, nell’attività nervosa non è la base corporea del pensare; in entrambi le compete invece l’attività del volere che compenetra il ritmo e i nervi. Soltanto un pregiudizio materialistico può mettere in relazione col rappresentare l’attività del ricambio esistente nel nervo. Un’osservazione radicata nella realtà dice qualcosa di completamente diverso. Essa deve riconoscere che nel nervo esiste il ricambio nella misura in cui il volere lo compenetra. Altrettanto avviene nell’apparato corporeo per il ritmo. L’attività del ricambio esistente in esso è legata al volere esistente in quest’organo. Occorre mettere in relazione il volere con l’attività del ricambio, e il sentire coi processi ritmici, indipendentemente dagli organi nei quali ricambio e ritmo si manifestano. Nei nervi avviene poi dell’altro del tutto diverso da ricambio e ritmo. I processi corporei nel sistema nervoso, che danno la base per il rappresentare, sono fisiologicamente difficili da afferrare. Dove infatti vi è attività dei nervi esiste il rappresentare della coscienza abituale. La frase vale però anche rovesciata: dove non si formano rappresentazioni non si può mai trovare attività dei nervi, ma soltanto l’attività del ricambio nei nervi, e un accenno di fenomeni ritmici. La fisiologia non perverrà mai a concetti corrispondenti alla realtà in merito ad una teoria sui nervi finché non riconoscerà che la vera attività dei nervi non può assolutamente essere oggetto dell’osservazione sensoria fisiologica. L’anatomia e la fisiologia devono arrivare a riconoscere che potranno trovare l’attività nervosa solo attraverso il metodo di esclusione. È attività nervosa ciò che nella vita dei nervi non è osservabile coi sensi, ma di cui la sfera sensoria mostra la necessità dell’esistenza ed anche le caratteristiche della sua attività. Si giunge ad rappresentazione positiva dell’attività nervosa se si vede in essa il processo materiale mediante il quale nel senso del primo capitolo di questo libro [“Enigmi dell’anima” - ndr], la pura essenzialità animico-spirituale del contenuto rappresentativo vivente è indebolita nel morto pensare della coscienza abituale. Senza questo concetto, che va introdotto nella fisiologia, non vi sarà in essa alcuna possibilità di dire cosa sia l’attività dei nervi. La fisiologia ha elaborato dei metodi che oggi oscurano questo concetto anziché renderlo manifesto. Anche la psicologia si è chiusa la strada in questo campo. Si guardi soltanto a come per esempio ha agito in questa direzione la psicologia di Herbart (Johann Friedrich Herbart, 1776-1841, cfr. di R. Steiner “L’evoluzione della filosofia dai presocratici ai postkantiani”, prima parte di O.O n. 18, Ed. Bocca, Milano 1949, pag. 221). Essa si è occupata soltanto della vita delle rappresentazioni, e vede nel sentire e nel volere soltanto effetti della vita rappresentativa. Ma tali effetti scompaiono di fronte alla conoscenza, se in pari tempo non ci si occupa senza pregiudizi della realtà del sentire e del volere. A causa di quella scomparsa, non si arriva ad alcun inserimento, corrispondente a realtà, del sentire e del volere nei processi corporei.

Il corpo nel suo complesso, e non soltanto l’attività nervosa in esso racchiusa, è la base fisica della vita dell’anima. E come quest’ultima, per la coscienza abituale, si estrinseca in rappresentare, sentire e volere, così la vita corporea si estrinseca mediante l’attività dei nervi, i processi ritmici e i processi del ricambio.

Subito sorge qui la domanda: nell’organismo, come si ordinano da un lato le vere e proprie percezioni sensorie, nelle quali soltanto sfocia l’attività nervosa, e dall’altro la facoltà motoria, nella quale sfocia il volere? Un’osservazione spregiudicata mostra che entrambe non fanno parte dell’organismo nello stesso senso dell’attività nervosa, dei processi ritmici e dei processi del ricambio. Ciò che avviene nei sensi è qualcosa che non fa parte direttamente dell’organismo. Nei sensi, il mondo esterno si prolunga nell’essere dell’organismo come in golfi. Nella misura in cui l’anima abbraccia quanto avviene nei sensi, non prende parte a processi interiori organici, ma alla continuazione dei processi esterni entro l’organismo. (Ho trattato gnoseologicamente questi problemi in una conferenza tenuta al Congresso filosofico di Bologna del 1911) [In italiano la conferenza è pubblicata nella rivista “Antroposofia”, anno 1957, pagg. 290 e 322 - ndc].

Anche in un processo di moto, fisicamente, non si ha a che fare con qualcosa la cui essenza si trovi entro l’organismo, ma con un’attività dell’organismo nei rapporti di equilibrio e di forza nei quali l’organismo stesso è inserito di fronte al mondo esterno. Entro l’organismo soltanto il processo del ricambio è da ascrivere al volere; ma l’accadimento scatenato mediante questo processo è in pari tempo qualcosa che ha carattere di essenza entro i rapporti di equilibrio e di forza del mondo esterno; e l’anima, agendo volitivamente, travalica il campo dell’organismo e, col suo agire, vive gli accadimenti del mondo esterno. Per lo studio di tutti questi problemi ha portato una grande confusione la divisione dei nervi in nervi sensori e nervi motori. Questa divisione pare fortemente ancorata nelle attuali rappresentazioni fisiologiche: non è fondata su un’osservazione oggettiva e aperta. Quello che la fisiologia propone sulla base della resezione dei nervi, o dell’inattività patologica di alcuni nervi, non dimostra ciò che risulta sulla base della ricerca o dell’esperienza, ma dimostra qualcosa di totalmente diverso. Dimostra che non esiste assolutamente la differenza che si presume fra nervi sensori e nervi motori. I due tipi di nervi sono invece nell’essenza uguali. Il cosiddetto nervo motore non serve il movimento nel senso immaginato dalla teoria della divisione citata; quale portatore dell’attività nervosa, esso serve invece l’interiore percezione di quel processo del ricambio che è alla base del volere, proprio come il nervo sensorio serve alla percezione di ciò che avviene nell’organo sensorio. Se la teoria relativa ai nervi non lavorerà in questo campo con chiari concetti, non si potrà arrivare a una giusta attribuzione della vita dell’anima alla vita del corpo.

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Analogamente al modo in cui, da un punto di vista psicofisiologico, si possono cercare le relazioni della vita animica che si svolge nel rappresentare, nel sentire e nel volere, con la vita corporea, così, da un punto di vista antroposofico, si può tendere alla conoscenza delle relazioni fra la parte animica della coscienza abituale e la vita dello spirito. Attraverso i metodi antroposofici descritti in questo libro e in altre mie opere, si trova allora che, come nel corpo con l’attività dei nervi si ha una base per il rappresentare, così se ne trova una nello spirituale. Verso l’altro lato, quello non rivolto al corpo, l’anima è in relazione con un’essenzialità spirituale che è la base per il rappresentare della coscienza abituale. Tale essenzialità spirituale può però essere sperimentata solo mediante la conoscenza veggente. Ed è sperimentata in tal modo quando il suo contenuto si presenta alla coscienza veggente quale immaginazione articolata. Come in direzione del corpo il rappresentare poggia sull’attività dei nervi, così dall’altra parte esso fluisce da un’essenzialità spirituale che si svela in immaginazioni. Questa essenzialità spirituale è ciò che nelle mie opere è denominato corpo eterico o vitale (con il che, parlandone, faccio sempre presente che non ci si deve urtare né per l’espressione “corpo”, né per l’altra di “etere”, perché quello che io espongo mostra chiaramente che non va inteso in senso materialistico). Il corpo eterico (nel quarto fascicolo, anno I, della rivista “Das Reich” ho anche usato l’espressione “corpo delle forze formatrici”) [L’articolo ricordato è inserito in O.O. n. 35: “Philosophie und Anthroposophie”, pag. 269 e segg. - ndc] è la parte spirituale dalla quale proviene la vita rappresentativa della coscienza abituale dalla nascita (anzi dalla concezione) fino alla morte.

Il sentire della coscienza ordinaria, dal lato del corpo, poggia sui processi ritmici. Dalla parte dello spirito esso fluisce da un’essenzialità spirituale che, nell’ambito della ricerca antroposofica, è trovata grazie ai metodi che nelle mie opere ho caratterizzato in quelli dell’ispirazione (anche per questo si dovrebbe tener presente che con questo concetto io intendo soltanto quello che ho descritto; la mia formulazione non dovrebbe quindi essere scambiata con quello che di solito si intende con questa parola). Nell’essenzialità spirituale, che è alla base dell’anima e che va afferrata mediante ispirazioni, si manifesta alla coscienza veggente quello che è proprio dell’uomo, in quanto essere spirituale, al dì là di nascita e morte. È in questo campo che l’antroposofia indirizza le sue ricerche di scienza dello spirito intorno al problema dell’immortalità. Come nel corpo, attraverso i fenomeni ritmici, si manifesta la parte mortale dell’essere umano che sente, così nel contenuto ispirativo della coscienza veggente si manifesta l’immortale nucleo spirituale dell’essere animico.

Il volere, che in direzione del corpo poggia sui processi del ricambio, per la coscienza veggente fluisce dallo spirito mediante quelle che nelle mie opere ho denominato vere intuizioni. A quello che nel corpo si manifesta attraverso l’attività relativamente più bassa del ricambio, corrisponde nello spirito qualcosa di più elevato: ciò che si esprime attraverso le intuizioni. Di conseguenza il rappresentare, che poggia sull’attività dei nervi, corporeamente giunge quasi del tutto ad espressione; il volere invece ha soltanto un debole riflesso nei processi del ricambio ad esso corporeamente corrispondenti. Il vero rappresentare è la parte vivente; la parte corporeamente condizionata è quella indebolita. Il contenuto è il medesimo. Il vero volere, anche quello che si realizza nel mondo fisico, scorre nelle regioni che sono accessibili soltanto alla veggenza intuitiva; la sua controparte corporea non ha quasi nulla a che fare col suo contenuto. Nell’essenzialità spirituale che si manifesta all’intuizione è contenuto ciò che si prolunga dalle precedenti alle successive vite terrene. Nel campo ora considerato l’antroposofia si avvicina ai problemi delle ripetute vite terrene e del destino. Come il corpo vive nell’attività dei nervi, nei processi ritmici e in quelli del ricambio, così lo spirito dell’uomo vive in ciò che si manifesta nelle immaginazioni, nelle ispirazioni e nelle intuizioni. E come il corpo, nel suo campo, permette di sperimentare verso due parti l’essere del suo mondo esterno, vale a dire nei processi dei sensi e in quelli del moto, così fa anche lo spirito: da un lato sperimentando immaginativamente la vita rappresentativa dell’anima anche nella coscienza abituale, e dall’altro formando, nel volere, degli impulsi intuitivi che si realizzano mediante processi del ricambio. Se si guarda verso il corpo si trova l’attività dei nervi che vive quale essere di rappresentazione; se si guarda verso lo spirito si scorge il contenuto spirituale delle immaginazioni che appunto fluisce in quell’essere di rappresentazione. Brentano sente in un primo tempo il lato spirituale nella vita animica rappresentativa; per questo caratterizza tale vita come una vita di immagini (accadimenti immaginativi). Se non è sperimentata solo una propria interiorità animica, ma qualcosa da accettare o da rifiutare mediante il giudizio, si aggiunge al rappresentare un’esperienza animica fluente dallo spirito, il cui contenuto resta incosciente finché si ha a che fare solo con la coscienza abituale, perché nelle immaginazioni tale contenuto consiste in una essenzialità spirituale basilare per l’oggetto fisico e che aggiunge alla rappresentazione solo il fatto che il suo contenuto esiste. Questa è la ragione per la quale Brentano divide la vita rappresentativa nella sua classificazione: nel semplice rappresentare, che sperimenta immaginativamente soltanto ciò che esiste nell’interiorità, e nel giudicare, che sperimenta immaginativamente ciò che è dato dal di fuori, ma che porta alla coscienza l’esperienza solo come accoglimento o rifiuto. Di fronte al sentire Brentano non guarda per nulla alle basi corporee, agli accadimenti ritmici, ma pone nel campo della sua attenzione solo l’amore e l’odio che compaiono nel campo della coscienza abituale e che derivano da permanenti ispirazioni incoscienti. Il volere sfugge però del tutto alla sua attenzione, perché esso si vuole indirizzare soltanto a fenomeni nell’anima; nel volere infatti vi è qualcosa che non è deciso nell’anima e col quale l’anima sperimenta un mondo esteriore. La classificazione di Brentano dei fenomeni animicì poggia cioè sul fatto che egli la articola in base a punti di vista che acquistano la loro vera luce se si dirige lo sguardo verso il nucleo spirituale dell’anima; con questo egli vuole inoltre afferrare i fenomeni della coscienza abituale. Con quanto ho detto qui a proposito di Brentano, volevo ancora completare quello che avevo esaminato di lui a pagina 69 e segg. di questo libro.