Oggi si attribuisce coraggio a Bergoglio per la condanna della pederastia sacerdotale globale smascherata... Ma il suo non è coraggio, bensì OBBLIGO in quanto non era più possibile mentire.

PER IL SUPERAMENTO INDIVIDUALE DEL KARMA OCCIDENTALE

O scimmia nuda dell'"Occidentali's Karma"!

L’intuizione di una vita culturale nella libertà, l’ispirazione di una vita giuridica nell’uguaglianza e l’immaginazione di una vita economica nella fraternità siano IL MASSIMO AUGURIO PASQUALE per superare il tuo karma.

Nessuno (e tanto meno lo scimmione intelligente) può ricreare il mondo né creare dal nulla le cose. Possiamo però trasformare quelle già esistenti, conferendo loro un nuovo aspetto.

Per riuscirvi senza ferire occorre comprendere la loro legge, intrinseca al loro momento attuale, cioè il loro attuale modo di agire che vogliamo trasformare o a cui vogliamo imprimere una nuova direzione.

Occorre dunque trovare il metodo secondo cui quella data legge si lascia trasformare in un’altra. Questa parte dell’attività morale che così ci fa agire poggia sulla conoscenza del mondo fenomenico con cui abbiamo a che fare; va perciò scientificamente ricercata in quel ramo specifico. Ogni giusta azione presuppone perciò, accanto alla facoltà immaginativa di idee morali, quella di trasformare il mondo delle cose percepibili senza spezzare la connessione con le leggi naturali su cui poggiano in quel dato momento. Questa facoltà è TECNICA MORALE e la impariamo così come impariamo una scienza o un’arte, anche se spesso siamo più adatti a trovare i concetti corrispondenti al mondo quale esso già è, che a determinare col lavoro produttivo della nostra facoltà immaginativa azioni future non ancora esistenti. “Perciò è possibilissimo che uomini privi di fantasia morale ricevano le rappresentazioni morali da altri e imprimano queste abilmente nella realtà. Viceversa può anche verificarsi che uomini dotati di fantasia morale manchino di abilità tecnica e debbano servirsi di altri uomini per realizzare le loro rappresentazioni” (R. Steiner, “La filosofia della libertà”, cap. 12°, Ed. Antroposofica, Milano 2013, pp.163-164). Sul piano politico, ad esempio, i sedicenti riformatori hanno, sì, voglia di trasformare il reale, senza avere però anche la cura e la pazienza necessarie a conoscere il reale che vogliono trasformare. Così diventano mestieranti o truffatori: sono i neo-proci, che si calano nelle nostre tasche come imperterriti saccheggiatori dell’economia, della cultura e del diritto, mentre le scimmie aspettano un Ulisse a liberarle, del tutto ignare che Ulisse è ognuno di loro. Il fallimento, cioè la mancata sua attuazione delle loro idee è dovuta a due ragioni. In primo luogo, perché un conto è l’idea, altro la sua prospezione dialettica (oggi non si distingue più fra parola e concetto, né fra legalità e legittimità). In secondo luogo, perché solo quando quell’idea riceve l’imprimatur dei monopolisti delle varie economie di Stato, essa cessa improvvisamente di essere rigettata, se non addirittura irrisa o sbertucciata, da quanti avevano avuto già modo di conoscerla. Cioè si ricorre a cambiar moneta manipolandola per continuare a sostenere la stessa economia di Stato che causa la crisi. E questa è oltretutto la triste prova di quanto il giudizio critico degli uomini odierni dipenda ancora da quelli dell’autorità (del “conscio collettivo”, direbbe Jung), e di quanto poco il loro pensare sia perciò realmente attuato.

DEI VERI FISICI

La maggior parte degli odierni “fisici delle particelle” è fatta di uomini che hanno perduto il pensare e che, nonostante ciò, pretendono regole di espressione, codici di segni, che sono una specie di esperanto logico e semantico, per poter alla fine liberarsi della responsabilità di attingere il pensare da se stessi, cioè dalla loro coscienza.

Costoro non si accorgono che alla base di una costruzione dottrinaria NON potrà mai NON esserci l’esperienza dell’oggetto di cui si parla: altrimenti si costruirebbe (e di fatto si costruisce oggi con la fisica delle particelle) sulla poltiglia.

Affrontare il problema del rapporto tra pensiero e parola, comporta l’esperienza concreta del processo del pensare.

Invece negli odierni empiristi, negli odierni pragmatisti e positivisti, questa esperienza non è prevista. Anzi non è neanche concepibile. Perché è del tutto evidente che sono incapaci di distinguere l’atto del pensare dalla sua espressione discorsiva. Per cui abbiamo a che fare con sedicenti pragmatisti ed empiristi che sono completamente SOGNANTI, dato che presumono trattare scientificamente qualcosa che non suppongono sperimentabile.

Ma come si può parlare di scienza senza l’esperimento?

Ovviamente, non tutti i fisici sono così. Il fatto grave è che i veri fisici, cioè i fisici in cui la vita del pensare è ancora viva, passano per sognanti, mentre i veri sognanti passano per pratici.

In questi giorni sono stato messo al corrente da Alessandro Citarelli, laureato in fisica, di un fatto che mi mostra come perfino la sedicente odierna società antroposofica sia anch’essa priva di vita pensante, soprattutto in fisica: in base a un testo di Georg Unger (“On Nuclear Energy and the Occult Atom”), capo del dipartimento di Matematica ed Astronomia al Goetheanum di Dornach, Citarelli mi scrive, a proposito delle cosiddette particelle elementari, che per Georg Unger il pensare è un “coagulo di elettricità” della tessa sostanza dell’atomo.

Georg Unger, mettendo così il pensare tra le cose materiali, crede dunque che il pensare sia una specie di secrezione elettrica del cervello, così come la bile è una secrezione del fegato o come la saliva è una secrezione delle ghiandole salivari. In altre parole, egli scambia il pensare coi processi fisiologici. È come un pescatore che getti la rete nel lago per pescare la luna che vi si rispecchia. Ma chi pretende pescare la luna, è come chi affonda le mani nello specchio per afferrare le cose, non accorgendosi che queste sono immagini riflesse.

Allora bisogna chiedersi: come è possibile che un fisico o un matematico antroposofico arrivi a pensare che il pensare sia elettrico? È presto detto: Georg Unger è il figlio di Carl Unger (http://www.anthroposophy.org/articles/article-detail/the-course-of
-dr-straders-life-1406/ : nota 67), di cui ho letto alcuni libri; molto bravo Carl Unger, era un collaboratore di Steiner. L’opera di Unger-padre è umana. L’opera di Unger-figlio è subumana.

E dunque questi figli di papà, si fregiano di nomi altisonanti e la sedicente società antroposofica li mette in posti altolocati con altrettanti nomi altisonanti. Ancora una volta devo constatare che la società antroposofica non esiste. E non solo in Italia. In questo caso questa cosiddetta società appare come un grumo nepotista, esattamente come avviene per lo più nella degenerazione della politica odierna. Non per niente i soci della cosiddetta comunità scientifica dei fisici teorici del Cern continuano a cercare nuove particelle a spese dei contribuenti europei, magari per pensare elettricamente (?) di costruire una macchina del tempo.

Siamo nella fantascienza. Nessuno ancora vede che questo tipo di ricerca è un enorme danno per la cultura. Perché, non sapendo più pensare, anche i sedicenti antroposofi, si affidano a chi ritengono autorevole. Quindi credono in questa autorevolezza: “L’ha detto il figlio di Unger, quindi è vero!”. Invece è una cazzata! Basterebbe leggere “La filosofia della libertà” di Steiner, là dove si parla del Cabanis (Pierre Jean Georges Cabanis, 1757-1808) per ravvedersi. Invece in fisica - e della fisica - teorica nessuno sa niente.
Perciò si spaccia un incapace per “Capo del Dipartimento di matematica e di astronomia al Goetheanum di Dornach”.

Invece, grazie al vero spirito di ricerca di un Alessandro Citarelli - che ringrazio - sono venuto a conoscenza di questo triste fatto. Reputo Citarelli un vero scienziato. Citarelli pensa come pensava Goethe sul pensare umano. Quindi non può accettare i miasmi di Faust o di Arimane. Arimane è l’economicismo, che oggi domina tutto. Immagino perciò che Alessandro Citarelli soffra molto di questa situazione mondiale degenerata, più o meno come soffriva a suo tempo Ettore Majorana. E non sto esagerando.

A Dornach - quindi non solo in Italia - ripeto - impera invece il subumanesimo arimanico di un nepotismo avvoltolato in una ignoranza mostruosa, identica a quella che scorgiamo ogni giorno nel mondo politico.

Con Georg Unger siamo arrivati al “pensiero elettrico”. È la follia.

L’elettricità riguarda la fisica, le cose fisiche e quindi anche il corpo umano fisico, la sua fisiologia però: così come lo specchio riflette le cose del mondo, allo stesso modo il nostro cervello da buon “speculum” rende possibile la speculazione. Però le correlazioni fra le cose “speculate” dallo speculum del nostro cervello, dipendono dal logos, cioè dall’essenza immateriale dell’uomo (che Scaligero chiama anti-materiale nel suo libro “Il pensiero come antimateria”) e che collega le cose fra loro secondo ordine. Se proprio si vuole materializzare il logos lo si pensi NON come un filo elettrico che può friggere le uova su un fornello ma casomai come un giocattolo “Lego”. Il giocattolo “Lego” salda insieme dei “mattoncini” secondo un ordine preciso. Il logos è insomma come una colla che lega concetto a concetto, formando idee logiche. E “logiche” non significa “antilogiche”.

Elettrico è tutto, tranne la triade di pensare, sentire e volere, che caratterizza la nostra IMMATERIALE attività interiore di esseri umani. Pensare, sentire e volere sono da sempre le uniche e sole tre funzioni della nostra attività interiore, detta anima (perché è qualcosa che si anima di dentro, che si muove), di cui la volontà è una funzione più difficile da comprendere, dato che mette in gioco la sostanza immateriale ultima ed intima dell’io. È sempre stato così. La differenza di oggi col tempo precedente, cioè col tempo che era prima dell’anno zero è che oggi pensiamo, cioè speculiamo, prevalentemente grazie alla sfera del capo (sostanza nervosa, tutta la sostanza nervosa, che fa da specchio riflettente) mentre prima dell’anno zero lo facevamo prevalentemente grazie alla sfera toracica (sostanza cardiaca e polmonare, emozioni, emotività, “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore”, non “Io magnifico il Signore ed esulto in Dio mio salvatore”, questo diceva la madre di Cristo).

Anticamente il sentimento della fede aveva infatti a che fare con Elettra (in greco Elektra, in latino Electra) dea della luce e madre di Iride (e l’iride è anche nel nostro occhio). Elettra significa “ambra”, “splendente”, “brillante”, ecc., ed era associata al Leone nell’antica astrologia, a causa del sole che lo dominava facendolo risplendere intensamente. Ecco perché le pietre del Leone erano il diamante e l’ambra, dagli intensi riflessi cromatici. La costellazione dell’Acquario, governato da Urano, appartiene allo stesso asse cosmico del Leone… Ed oggi siamo appunto nel periodo dell’Acquario, in cui tutto quello che riguarda Urano comunicazioni, computer, elettricità, radiazioni, ecc.) dovrebbe essere studiato, ristudiato, di nuovo, affinché la fisica non sia più relegata a un CLERO di creduloni, ma sia una vera scienza e una vera sapienza: un’episteme incontrovertibile ed alla portata di tutti, non di sedicenti “esperti”.

L’intellettualità odierna, ma bisognerebbe dire l’intellettualismo, emana dall’economicismo, cioè da Arimane come un cosmico impulso gelido, senza vita interiore, senz’anima. E gli uomini presi da questo impulso sviluppano una logica senza vita, che sembra parlare di per se stessa, ma parla senza umanità e senza amore. In realtà è l’economicismo, è Arimane che parla per suo mezzo. È una logica in cui non si mostra per nulla il giusto e intimo collegamento dell’attività interiore umana con ciò che l’uomo pensa, dice e fa…

L ’ A V V E N T O   C O M E   E V E N T O (cosmico & scientifico)
Dedicato a Paisley e ad Alex Delarge

Il tempo dell’avvento dell’anno zero fu scandito per i Re Magi all’inizio del ciclo precessionale nel punto gamma della costellazione dell’Ariete, che nella cosmogonia ebraica era quella dell’Agnello. Oggi siamo oramai nel ciclo dell’Acquario, eppure ogni anno continuiamo a commemorare quel grande EVENTO arietino, come se fosse un PROCESSO stagionale. Questa commemorazione manca di scienza, perché la scienza manca di logica. Ma andiamo per gradi.

La logica non incomincia né penetra mai nel linguaggio dall’esterno: i mezzi per cogliere i rapporti logici si sviluppano solo a poco a poco nella lingua.

L’impostazione scientifica della cultura odierna non considera l’uomo né il suo interno e quindi è contro l’uomo.

Ciò è un dramma in quanto in tale contesto il pensare umano è sparito. Il moderno scienziato della natura è “spensierato” e porta avanti la sola correlazione fra le parole, che scambia con il pensare e nella cui plausibilità logica trova vie già tracciate, che sollecitano automatismi escludenti la sua iniziativa, ed esigenti - anzi - la sua passività!

Il dramma sta nel fatto che questa passività non è palese, dato che si manifesta in forme di attività, che possono dare l’idea di una dinamica, in realtà inesistente. Perciò avviene che l’automatismo discorsivo raggiunge tanto maggiore efficienza, quanto più si estrania al pensare: la “dynamis”, cioè la forza del pensare è sottratta alla coscienza ed è usata da qualcosa che NON è il principio cosciente capace di manifestarsi nel pensare autonomo dell’uomo. Nel mito della scienza senza l’uomo o in cui l’uomo è senza pensiero, la logica è contro l’uomo.

Ad esempio: per l’einsteinismo, il passato ed il futuro sono reali come il presente. Dice Einstein: “Per noi che CREDIAMO nella fisica la divisione tra passato, presente e futuro ha solo il valore di un’ostinata illusione” (E. Bellone, “Albert Einstein. Opere scelte”, Ed. Bollati Boringhieri, Torino 1988, pp. 706-07). Illusoria però è solo questa CREDENZA di Einstein, questa FEDE in un mondo simile a una pellicola di un film di fantascienza in cui tutti gli eventi sono come fotogrammi che coesistono tutti. Se coesistono tutti, perché POI devono essere proiettati? Quel POI è indiscutibilmente in logico conflitto con la coesistenza. E poiché in quella FEDE non esisterebbe solo il presente ma, come il presente, SIMULTANEAMENTE anche il passato e il futuro, Einstein non trova di meglio che derealizzare il concetto di simultaneità. L’uomo dunque come un criceto in gabbia che girerebbe continuamente la sua ruota.

In merito alla “simultaneità”, la Teoria Stockmayer rivelerà poi come sia del tutto sbagliato il famoso esempio del treno di Einstein, il quale, per confrontare e relativizzare il contenuto concettuale di simultaneità nei due osservatori, sostituiva, appunto, la luce al treno.

In base a questo errore (che potete apprendere nella Teoria Stockmayer pubblicata nel mio blog “bastamonopolio”), per Einstein non ci sarebbe stato - ripeto -  un venir meno del passato che vada nel nulla, così come non ci sarebbe stato un “ancor nulla” del futuro. Per la sua teoria della relatività, passato e futuro dovevano esattamente essere come il presente. Ma cosa sarebbero? Sarebbero l’“eterno”. In base a questa FEDE si derealizza il divenire, dato che si può dire - ma senza dire niente - che il mondo non è quello che accade ma che è quello che è. E allora cos’è? Cos’è l’eternità se non c’è futuro? Assolutizzando il mondo col dire che è, significa dire che il mondo è finalizzato a confermare l’eternità di tutte le cose. Ugualmente se si assolutizza una trappola per topi, si può dire che essa è finalizzata a confermare l’eternità del topo intrappolato. Ma è solo un film. Il topo vero dov’è? La macchina del tempo dov’è?

E nella teoria di Einstein tutto ciò è detto “scientificamente”, cioè illusoriamente, dato che la scienza è pur sempre un sapere ipotetico.

Da qui nasce l’istanza di che cosa siano le necessità degli uomini e il destino stesso di queste necessità.

Il destino delle necessità non intende MAI essere un sapere ipotetico: se in auto vedo la curva devo sterzare se non voglio sfracellarmi e, dunque il sapere ipotetico di quella necessità è semplicemente vano. 

Lo stesso va detto per il desiderio di cambiamento di ogni uomo, il desiderio delle riforme, la volontà umana di stare sempre meglio, ogni anelito umano, e perfino per la morte. Morire è necessario per il novantenne curato in ospizio come mera fisiologia priva di vita interiore. Se potesse pensare saprebbe che morire è meglio. Invece si gira in tondo come criceti. 

Einstein invece pretese affermare, ed affermò, un’eternità astratta, cioè avulsa dall’uomo, in quanto riferita alla mera dimensione spaziale delle cose materiali, cioè limitata al cosiddetto cronotopo quadridimensionale. Prefigurava così un’“eternità” antilogica, cioè costituita dal logismo ipotetico-deduttivo della fisica moderna.

Questo tipo di “logica” non può che condurre alla follia che imprigiona l’uomo nella relatività. Perché se il mondo uscisse veramente dal nulla (creazione dal nulla) e andasse veramente nel nulla (in base al 2° principio della termodinamica, tendente a condurre a rovina ogni cosa organizzata, vedi la morte per calore, vedi anche la teoria di Kant-Laplace, ecc.), tutto ciò sarebbe scientificamente in contraddizione col principio di progressione di Darwin delle cose organizzate. E ciò confermerebbe la follia: per la scienza del fisico il mondo tenderebbe apparentemente alla decadenza, mentre per la scienza del biologo, al progresso (evoluzione). E cos’altro è la follia se non l’assoluta contraddizione del pensiero che le cose escano dal nulla e vadano nel nulla? Ecco dunque perché la follia della scienza odierna escludente l’uomo è diventata una FEDE in questa stessa esclusione.

Oltretutto, proprio per il carattere ipotetico del suo sapere, lo scienziato è da secoli limitato ad essere un mero FEDELE.

Si tratta allora di incominciare a comprendere che l’uomo può essere qualcosa di ben più grande, infinitamente più grande, di un fedele.

Ciò porta a considerare che ogni volontà “scientifica” - si pensi a quella di voler creare una macchina del tempo come si vede nei film di fantascienza - è una follia.

Ogni volontà umana è una follia, se in nome della scienza, il kantiano “dover essere”  acquista legittimità nel caso in cui l’uomo debba schopenhauerianamente volere di non volere. Insomma escludere l’esperienza umana dalla scienza è essenziale follia, così come è follia negare la possibilità di conoscenza epistemica, o incontrovertibile, in base al dato di fatto che siamo tutti in via di divenire e quindi di evolvere sempre più in noi la nostra esperienza mai esaustiva di concetti e idee.

D’altra parte è follia negare il divenire.

Follia è insomma la concezione di leggi assolute, come ad esempio quella della costanza della velocità della luce (“c²”), in un universo ritenuto relativo. Bisognerebbe chiedersi: questa luce appartiene o non appartiene a questo universo? Se rispondessimo “no”, sprofonderemmo nella “luce” metafisica del dogmatismo; se rispondessimo “sì”, saremmo costretti ad accettare un universo simultaneamente relativo ed assoluto. E ciò equivarrebbe ad accettare che il bianco sia nero, o che l’acqua sia vino, o che la pasta asciutta sia un budino... Impererebbe non più la logica ma la schizofrenia.

In rapporto all’uomo, la scienza odierna non prende sul serio la parola “evoluzione”, che confonde con l’evoluzionismo. Non sa sperimentare che, essendo un essere autocosciente, dotato di un’attività interiore che scaturisce dal suo centro, l’uomo non può limitarsi a comprendere l’evoluzione guardando il mero mondo esterno dicendo: “Lì, l’imperfetto si evolve verso il perfetto”. Questo è l’evoluzionismo insegnato nelle scuole di Stato, che conduce l’uomo a credersi discendente dalle scimmie.

Non stanno così le cose. L’evoluzione dell’uomo è ben altra.  È l’esperimento o l’esperienza interiore IMMATERIALE di coloro che, per il fatto di essere posti nel mondo come esseri attivi, devono ESSI STESSI compiere l’evoluzione. Invece col concetto di evoluzione studiato a scuola possiamo solo fermarci, bloccarci a quello che già si è sviluppato. Questo è l’evoluzionismo degli scimmioni intelligenti che crediamo di essere (Boncinelli docet).

E come ogni “ISMO” l’evoluzionismo è la degenerazione dell’evoluzione che dovremmo sperimentare attraverso la cultura di UR, la luce, quella vera, attraverso il comprendere che spetta all’uomo evolversi. LO STESSO DICASI PER IL LOGISMO RISPETTO ALLA LOGICA. Perché l’uomo sa trascendere se stesso, procedendo oltre il gradino di evoluzione a cui è già arrivato, svolgendo forze sempre nuove allo scopo di diventare sempre più perfetto.

Solo attraverso questa evoluzione la scienza può essere scienza. Ecco perché la scienza non è scienza se non giunge a un concetto di evoluzione idoneo all’uomo.

Invece in questo e in molti altri suoi campi, preferisce rimanere ancora agli inizi del XVII secolo, quando non solo i profani, ma pure gli eruditi, credevano che gli animali inferiori si sviluppassero dalla melma fluviale, perché sta scritto che noi veniamo dalla polvere (Genesi 2,7). Questo è nozionismo antievolutivo in quanto riguarda tutt’al più la materia del corpo fisico. Poi si dissero altre cose. Ricordate il fatto di Nicodemo? “Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito”.

Oggi bisognerebbe dire: “Quello che è nato dall’elemento materiale, è materia; e quello che è nato dall’immateriale è antimateria”. Fu il grande naturalista italiano Francesco Redi il primo a dire che il vivente può aver origine solo dal vivente.

Ovviamente oggi nessuno crede più che un animale inferiore, un verme, un lombrico possano nascere dalla melma fluviale. Ma anticamente non crederlo era fonte di guai, anche se chi affermava che l’uomo viene dalla polvere dipendeva da osservazioni inesatte.

Perché nasca un verme, bisogna che esista il germe di quel verme. Eppure, nel secolo XVII, quando il medico naturalista Francesco Redi (1626 -1697) lo affermò, sfuggì a mala pena alla sorte di Giordano Bruno, dato che per tale sua affermazione lo si riguardò come un grande eretico.

Oggi non si mettono più al rogo gli eretici, ma si considera sognatore, o esaltato, se non peggio, chi ritiene di aver conseguito una conoscenza che lì per lì contraddice le opinioni di coloro che nella propria alterigia pensano di aver raggiunto il vertice di ogni sapere scientifico.

Oggi chi non crede all’einsteinismo fa la fine di Louis Essen (il padre dell’orologio atomico che si oppose ad Einstein): perde il lavoro, è insultato, ed attaccato da tutta la “comunità scientifica”. Questa è l’Inquisizione d’oggi.

Come il Redi affermò che “il vivente può aver origine soltanto dal vivente”, così la scienza odierna dovrebbe affermare che l’io può nascere soltanto dall’io. E la legge della apocatàstasi o del “ciclo” (“ghilgàl” in ebraico) delle ripetute vite terrene, di cui oggi spesso si sorride come di una folle fantasia, non è altro che una conseguenza di tale affermazione.

Ora che è Natale, bisognerebbe pensare alla nascita dell’io nell’umanità. Quello e solo quello è il Cristo. Perché l’avvento dell’io è un EVENTO, non un PROCESSO. Il procedere delle stagioni è un processo. Ma la festa di Natale è la festa per un avvento che ha cambiato il modo dell’uomo di indicare se stesso. Prima, indicava se stesso in terza persona. Anche questo è insegnato dalla coscienza (e potrebbe farlo anche la scienza) in grado di osservare come l’umanità antica si esprimeva con frasi come: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta...” (vedi il Magnificat), ecc. Questo molto spesso è preso superficialmente come espressione poetica. Invece è connesso con l’espressione normale di un’umanità più antica che sentiva la propria interiorità come mondo spirituale ma ancora in uno stato di sogno. La vita terrena del Cristo sta in mezzo, tra il passato in cui l’uomo non poteva trovare il Cristo in sé, l’io in sé, ed il presente in cui è invece possibile trovarlo.

L’odierna credenza scientifica, subordinata ai sensi fisici, non è più in grado di risalire all’elemento immateriale o all’io. Ma potrebbe farlo. Basterebbe studiare la precessione solare rilevabile nell’anno zero, cioè nel periodo in cui la posizione delle dodici costellazioni della fascia zodiacale coincideva con quella dei dodici segni astrologici del circolo zodiacale! Basterebbe accorgersi che l’anno zero fu quello di un evento: tale periodo è evento e non processo, perché come processo ha ben poche probabilità di ripetersi: la sua durata è quella dell’anno cosmico o platonico (o PRECESSIONE SOLARE): ventiseimila anni, e precisamente di 25920 anni, da calcolare a partire dall’anno zero.

Dunque è improbabile che tale corrispondenza fra costellazioni e segni si verifichi ancora su questo pianeta, perché tutto è in moto e cambia costantemente secondo cosmica evoluzione. L’avvento dell’io in quanto avvento del portatore del nome “Io sono” (“eié esher eié”) è dunque l’avvento di un’entita cosmica.

Invece la scienza ufficiale ritiene che l’io sia una sovrastruttura proveniente da leggi fisiche d’ereditarietà emergente dagli oscuri substrati del fisico.

La scienza potrebbe essere in grado di pervenire all’io, all’immateriale. Invece arriva all’antimateria senza fare il passo ulteriore: l’antimateria è appunto l’immateriale vita dell’io, o dello spirito. Questo la scienza non lo dice, credendolo superstizione, mentre essa stessa è superstizione (quod “super-stat” sine ratio). Se si liberasse da questo antico “non possumus” conoscerebbe come l’uomo ha posto i germi delle facoltà che si manifestano ora, nella sua vita attuale. E la vita attuale fra la nascita e la morte potrebbe essere considerata come NUOVA causa di future vite terrene. L’animico-spirituale non può aver origine che dall’animico-spirituale. E non è lontano il tempo in cui quest’affermazione sarà una verità altrettanto ovvia quanto quella di Francesco Redi: “Il vivente non può nascere che dal vivente”. Verità che è divenuta ovvia solo dal XVII secolo in poi.

Certamente l’asserzione del Redi poté suscitare un interesse limitato. Invece quanto potrebbe affermare oggi la scienza - e cioè che l’io si sviluppa dall’io, perché l’uomo non vive una volta sola, ma vive ripetute vite terrene, e che ogni vita sulla terra è l’effetto delle vite terrene antecedenti e insieme il punto di partenza di numerose vite susseguenti - avrebbe interesse per ogni uomo, dato che dal riconoscimento di questa verità dipende ogni fiducia nella vita, ogni sicurezza nel nostro lavoro, e soprattutto la soluzione di tutto ciò che si presenta a noi come problema.

Da questa conoscenza l’uomo attingerà forze sempre maggiori per tutta l’esistenza, fiducia e speranza per tutto ciò che deve agire nel futuro. Ecco perché tali cognizioni hanno interesse per ogni uomo.

Levinas, il Biglino di mezzo secolo fa, e gli antroposofi spensierati

La leggenda degli atti compiuti dall’Eterno è solo una leggenda detta “storia sacra” oppure si tratta di un mucchio di palle? In un testo che raccoglie conferenze del 1963 e del 1966 tenute alla sezione francese del Congresso mondiale ebraico, Emmanuel Levinas sembrerebbe - nell’illustrare una certa ermeneutica - voler avvertire gli ebrei e il mondo intero che tutta la storia ebraica è semplicemente una storia come tutte le altre. E da oltre mezzo secolo quell’illustrazione si presenta come una conferma di quanto dice oggi Mauro Biglino sul “sacro”. Ecco le parole di Levinas: «[…] tutto quanto fu compiuto, l’uscita dall’Egitto, e i miracoli, e le promesse, niente di tutto questo è vero. O per lo meno, si può fare a meno di parlarne, si può passar sotto silenzio la storia sacra. La storia sacra si spiega perfettamente con la storia semplicemente, con la storia politica, economica, sociale. La storia ebraica è una storia come tutte le altre. Mikaél ha un bel voler dire in buon ebraico “Colui che è come Dio” (sapete dirmi un nome più bello? una preghiera che si è fatta nome). Andiamo! Mikaél viene da “mak” che vuoi dire “debole”. Mikaél significa: Dio debole. L’Eterno non è soltanto un Dio che non ha fatto mai niente, è un Dio che non può fare un bel niente. Non potrà mai conquistare la Terra promessa. È un Dio fiacco. Che follia seguirlo!» (E. Levinas, “Quattro letture talmudiche”, p. 106, Ed. il melangolo, Genova 2008).
Quindi come si fa - bisognerebbe chiedere anche e soprattutto agli antroposofi spensierati della “Società antroposofica”, credenti in Michele e nelle scuole ad indirizzo pedagogico steineriano ma contemporaneamente parificate a quelle di Stato - a combattere per Dio, cioè in nome di Dio, per un mondo migliore? «Come si fa ad opporsi nel nome d’un Dio che, dico io, non si mostra mai, che non parla, che ha parlato, è vero, sul Sinai, ma di cui non si è mai saputo se ha parlato poco o tanto, e ha detto tutto quello che gli si attribuisce o non si è limitato alla prima frase, magari alla prima lettera del Decalogo, che, per combinazione, è l’“alef” impronunziabile! Che valore possono avere gli attributi e le promesse di un Dio tanto enigmatico? Cosa contano le astrazioni e le sottigliezze della Rivelazione di fronte alla splendida apparizione dei figli della terra che portano il sole a mo’ di medaglione?» (Levinas, op. cit. p. 112).
E chi altri sono i nuovi adoratori del sole e della luna - chiederei volentieri a Levinas - se non gli einsteiniani che non distinguono il lume dalla luce?

ANTI-PASQUA CORRETTA

E cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re». (Lc 23,2).

Il primo capo d’imputazione del crocifisso pasquale riguarda dunque le tasse, dato che il morituro - dicono - sovvertiva la nazione, istigando a non pagarle. Ma quale pretone lo dice dal pulpito? E quale insegnante lo spiega nelle scuole dell’obbligo?

L’ANTI-PASQUA è appunto l’istituzione mafiosa di questa omissione, di questa “svista”, di questa omertà. A ciò si addomestica il credente (nella Chiesa o nello Stato) con vari espedienti, finalizzati ad addomesticare l’animale uomo affinché si persuada che pagare le tasse è cosa buona e giusta.

Dunque si educa l’uomo ad avere un parere opposto a quello di Cristo, e per il quale il Cristo fu giustiziato.

L’era in cui la disunione fra gli uomini, che non comprendendosi più, arrivano a farsi le guerre, oltretutto dopo averle giustificate (cfr. il punto 2309 del catechismo cattolico) assieme alla pena di morte (ibid., punto 2267), finirà con l’apertura dell’uomo al pensare spregiudicato, cioè libero da pregiudizi.

Il Cristo dice: “Chi ha orecchie per intendere intenda”. Cosa significa? Significa che le orecchie per intendere sono quelle materiali? Se uno ascolta un altro, sente solo onde sonore, il suono della sua voce, o sente anche le sue parole, i suoi pensieri, e la presenza del suo io?

Il concreto contenuto del concetto di “senso” consiste in ciò che della fisiologia umana entra in azione PRIMA della riflessione pensante, vale a dire in modo non mediato da questa, ma immediato, e tuttavia capace di offrire precisi contenuti percettivi alla riflessione pensante.

Perciò c’è anche il senso dell’io; c’è il senso del linguaggio, c’è il senso della vita… Lo star bene… Quando uno ti chiede: “Come stai?”… “Sto bene”… Lì sperimenti subito il senso della vita, ecc. Questa cosa l’ho scritta (http://digilander.libero.it/VNereo/i_sensi_umani_non_sono_cinque_ma_dodici.htm). Ognuno può giudicare da sé l’assennatezza di questo criterio di indagine sui sensi.

Insomma, la cultura, se è autentica, dovrebbe rendere l’uomo incapace di essere schiavo. Al tempo degli schiavi era infatti loro proibito leggere, così come insegnare loro a leggere. Allo stesso modo la bibbia fino a pochi secoli fa era considerata un libro proibito, al punto che se le donne erano trovate in possesso di una bibbia correvano il rischio di essere bruciate dal clero come streghe…

Oggi non si mette più al rogo la strega perché alle scuole dell’obbligo (obbligo democratico, e qui c’è già una contraddizione) tutti insegnano a tutti a leggere e a diventare lavoratori, cioè schiavi.

E questa è la democrazia della… monocrazia e del monopolio, mafiosamente imperanti negli Stati nella misura in cui gli Stati sono insegnati come democratici!

Il senso delle cose ed il senso della Pasqua stessa hanno dunque a che fare con chi lavora e con gli schiavi d’Egitto… (http://digilander.libero.it/VNereo/pasqua-2016-considerazioni-su-lavoro-e-schiavitu.pdf).    

Si immagini un uomo calvo ed il nome “Calvario”. Così è più facile notare che “Golgotha” equivale al latino “Calvaria” ed al greco “Kranion” che significano “cranio” o “teschio”. Il Cristo muore dunque sul Teschio ed è ammazzato dallo “Stato” (miscuglio di sinedrio e di impero romano) a Pasqua. Ma perché è fatto fuori il Cristo? Perché dice di non pagare le tasse. Oggi non lo si vuole insegnare perché tutti sono invece addomesticati a pagare le tasse ed a ritenere questo una cosa buona e giusta fin dai tempi della scuola dell’obbligo.

«Venuti a Cafarnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: “Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?”. Rispose: “Sì”. Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: “Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?”. Rispose: “Dagli estranei”. E Gesù: “Quindi i figli sono esenti. Ma perché non si scandalizzino, va’ al mare, getta l’amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te» (Matteo 17, 24-27).

Da quest’altro punto del Vangelo si può capire che per Gesù le tasse devono essere prelevate non dal lavoro umano o dal sudore della fronte o dai sacrifici ma dalla liquidità del mare. Ma la liquidità del mare è la liquidità dell’emissione monetaria stessa. Almeno per me. Oggi infatti se si volesse risolvere il problema del debito e della tassazione ormai insostenibile (perché continua ad aumentare), bisognerebbe capire che l’unico modo per farlo sarebbe quello di tassare la moneta all’atto dell’emissione. Questo equivarrebbe, ovviamente, ad eliminare tutte le tasse.

Invece si preferisce pagare le tasse e farle pagare, anche se sono insensate ed esagerate. Ma la colpa non è dei politici, i quali vedono quanto siamo idioti e quindi si comportano di conseguenza, istituendo gioghi e schiavitù.

C’è perfino chi si straccia le vesti di fronte all’idea di libertà. Costoro sono persuasi che “schiavi è bello”…

 “La vita umana non ha altro scopo o destino, che quelli che le da’ l’uomo”… Ovviamente se l’uomo è persuaso che “schiavo è bello” non ha nemmeno il compito di dare uno scopo alla sua vita… E qui vi è la libertà dell’uomo senza meraviglia e senza senso… La libertà dell’uomo-bestia o dell’anti-uomo, quello che festeggia L’ANTI-PASQUA è appunto questo…

Conosci te stesso

Per attuare il sabato per l’uomo occorre conoscere innanzitutto l’io, la cui essenza è indipendente da tutto ciò che è esterno.

Per questa ragione non può essere chiamato con quel nome da niente che gli sia esterno. Niente di esterno ha accesso a quella parte di attività interiore dell’uomo, la quale è il “santuario nascosto”, in cui può riuscire a penetrare solo un essere che sia della sua stessa natura.
Il Dio che abita nell’uomo parla quando la sua attività interiore si riconosce come io. Così come l’attività interiore del sentire e quella razionale vivono nel mondo esterno, allo stesso modo un terzo elemento di tale attività s’immerge nel divino, quando si arriva a percepirne l’essenza. L’io è quindi della stessa natura e della stessa essenza del divino, anche se non è una cosa sola con essa.
Se si vuol usare un paragone, si può dire che l’io sta al divino come una goccia d’acqua sta al mare. L’uomo può trovare in sé, un che di divino, perché la sua più intima essenza proviene dal divino. L’uomo raggiunge, tramite questo terzo elemento della sua interna attività, una conoscenza interiore di se stesso, così come conosce il  mondo esterno attraverso la medesima attività.
Questo terzo elemento non è altro che la consapevolezza, detta anche “anima cosciente”. Ed è proprio in questo terzo ambito che incomincia a rivelarsi la vera natura dell’io. Quindi mentre attraverso la sensazione ed attraverso la razionalità l’attività interna umana si abbandona alle molte cose esterne, afferra, in quanto anima cosciente, la propria essenza a partire dal profondo della propria essenza. Con la percezione dell’io, cioè con l’auto-conoscenza, incomincia l’attività interiore.